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Tra Salò e '900 è futbol bailado |
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Sergio Pent, La Stampa, Tuttolibri, 13.11.2004 |
www.lastampa.it |
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Le troupe di Pasolini e Bertolucci si sfidano a calcio a Parma, la giornata diventa magica quando arriva un sedicenne che ipnotizza la partita con una danza di strada: inizia così lo straordinario romanzo di Alberto Garlini che ripercorre l'Italia delle innocenze perdute. |
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E’
più facile sottolineare
i lievi difetti in
un solo libro grande
e ambizioso che
disquisire sulla mediocrità complessiva
di decine di prodotti
senza storia. Sarà perché la perfezione
è un soffio omogeneo
che non osa diventare vento,
oppure perché l'abitudine al discount
letterario rende impermeabili
ai nuovi, numerosi germogli
del sottobosco, fattostà che ci
è accaduto, finalmente, di terminare
un romanzo e di constatare
che si tratta dell'opera più bella e
completa apparsa in queste ultime
stagioni.
Il secondo libro del trentacinquenne
di Parma Alberto Garlini
ci ha fatto stabilire l'istintivo
confronto tra il Pratolini di Cronaca
familiare e quello del fluviale
Lo scialo. Tra l'esordio
discreto e intimo di Una timida
santità e questo fiume pieno di
emozioni che è Fùtbol bailado,
intercorre la stessa dilagante
sorpresa, dall'evocazione privata
alla grandiosità epocale.
Annotiamo i difetti, dunque,
perché disturbano come il passetto
d'equilibrio del ginnasta
dopo un esercizio magistrale: un
eccesso di trasfigurazione nella
volontà santificante offerta ai
suoi protagonisti dall'autore; un
ritmo talvolta troppo frenetico
nei passaggi temporali, già di per
sé altalenanti tra epoche diverse;
qualche leggera, pignola interferenza
pragmatica in un discorso
vasto come gli anni che
racconta. E poi? E poi è semplicemente
doveroso inchinarsi alla
magia di questo romanzo che
racconta, tra realtà e finzione, il
passaggio di consegne di un'epoca,
dalle lucciole alle allucinazioni
stroboscopiche, attraverso un
percorso che, in mano diversa,
avrebbe rischiato l'agiografia o
la rivisitazione didascalica.
Sono due, a ben vedere, i
protagonisti scolpiti sulle pagine
del romanzo: uno vero, il carnale
e sanguigno Pier Paolo Pasolini
e uno fittizio, l'etereo, grandioso
perdente di genio, il giovane
calciatore Francesco Ferrari.
Tra di essi, la piccola, appartata
figura di un narratore - tale
Alberto «Gardini» - che incrocia
a sei anni, nel 1975, le strade dei
due personaggi e ne consegna la
memoria alla Storia.
E' il marzo 1975, infatti, quando
le troupe di Bernardo Bertolucci
e di Pasolini si sfidano a
calcio sul campo della Cittadella
di Parma: si girano Novecento e
Salò negli stessi luoghi, e la
giornata diventa magica allorché
in campo arriva un sedicenne
smunto e smarrito, Francesco,
che ipnotizza la partita con
un gioco che è una danza di
strada - il «fùtbol bailado», appunto
- e che diverrà, nella corsa
delle stagioni, il sogno che Fran-cesco
si porta dietro fino alla
fine. L'incontro tra Pasolini e il
giovane mago del pallone è breve
ma determinante: si ritrove-ranno
ancora, diverranno amici
in un'Italia che cambia e in cui la
memoria del passato è una luce
di speranze svanite. Pasolini ha
in sé un desiderio di morte che
porta Garlini a reinventare la
sua fine come un complotto predeterminato
dallo stesso poeta.
Francesco diverrà una stella di
breve, ma folgorante intensità,
nel campionato di serie A a
Perugia, sconfitto più dalla sua
remissiva bontà che dallo scandalo
del calcio scommesse.
Nell'82 Francesco sta morendo
e il tredicenne Alberto fugge
di casa per vedere i mondiali di
Spagna. Partiranno insieme, ma
la strada dell'ex calciatore si
ferma per sempre in Provenza,
dove vive Corinna, la ragazza
amata con la disperazione del
distacco. Alberto tornerà a casa
e comincerà a ripercorrere nella
memoria il percorso per certi
versi assurdo di Francesco e di
Pasolini, un percorso unito dalla
passione per il calcio e dalla
volontà di riscatto di un mondo
popolare secolarmente sconfitto.
I mesi in miniera di Francesco
hanno rovinato la sua salute,
il ricordo del fratello Guido - ucciso
nella faida partigiana di
Porzus - è invece, per Pasolini, il
calvario postumo verso la consapevolezza
della fine di ogni ingenuità
e di ogni sogno.
E non abbiamo raccontato
altro che il superficiale canovaccio
di un romanzo che raccoglie
in sé personaggi - veri e inventati
- episodi ed emozioni - dalla
seconda guerra all'Italia degli
scandali - sparati a raffica in una
storia allo stesso tempo privata
e collettiva, dove non sempre i
santi sono eroi e viceversa. La
simbologia di Francesco d'Assisi
che compare a tratti nel magico
alternarsi dei capitoli è il segnale
mistico di due innocenze da
rivalutare, quella del giovane
studente Pasolini nelle campagne
del suo Friuli e quella di
Francesco, anch'egli figlio del
popolo e mito per caso, destinato
a vedere infrangere il suo sogno
sotto le luci di riflettori sbagliati.
In questa metafora della santità
lordata dall'indifferenze dei
tempi, il romanzo ha una sua
funzione emotiva assoluta e riesce
a ricreare, in un'atmosfera
compatta di amore-poesia-illusione,
sangue-dolore-sacrificio,
il ritmo di una fede nelle capacità
umane che è transitata - anche
- attraverso la genuine
utopie di tante, grandiose innocenze
perdute. C'è tutto di noi e
del nostro passato, in questo
libro straordinario, in cui, malinconicamente,
non esiste salvezza
per le anime pure. La Storia,
da sempre, è questa: non c'è una
sola verità misurabile, ma quella
proposta da Garlini ci sembra
umanamente, letterariamente,
la più condivisibile, perché in
essa - almeno fino a un certo
punto - ogni sogno trova il suo
posto, la sua giusta luce. |
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