Leggendo questa Vita privata degli oggetti sovietici di Gian Piero Piretto (Sironi) davvero bella, che un po' è saggio, un po' racconto di quel che possono essere gli oggetti quotidiani attraverso la vita, l'ideologia, l'arte, la propaganda, si scoprono tante cose della storia evenemenziale comunista. Per esempio, che nel periodo delle orrende purghe le donne staliniane investivano parecchio in ciprie e belletti. Il prodotto più amato era il Krasnaja Moskva, ideato forse da un geniale profumiere francese al servizio dei nasi zaristi all'inizio del secolo, poi reso dolce e forte sotto la dittatura del proletariato. Il manifesto rende bene l'idea, con fina fanciulla flashata dall'intensità della fragranza più che inebriata come nelle pubblicità profumifere oggidì ricorrenti nell'Occidente capitalistico. Ma i profumi comunisti andarono incontro anche a usi ignominiosi, assai poco seducenti, come quando nella poverissima Russia gli etilisti se li bevevano in vece della vodka. Alcuni contenevano molto alcol, anche il 70%, e, per errore di chi stabiliva i prezzi nei ministeri dell'economia statalizzata, costavano meno degli alcolici normali. E così, capitava che i derelitti trincassero l'acqua di colonia Sipr, o lucido da scarpe, come testimoniano i cocktail proposti da Erofeev nel romanzo poema Mosca Petuski. Piretto racconta l'aura di tanti oggetti socialisti, dal distributore di acqua gasata al sottobicchiere, dall'automobile alle sigarette scadenti, al rosso, che curiosamente in russo ha lo stesso significato di bello, e ha indotto molte assonanze ideologiche nella gente, sia che il rosso fosse quello delle icone irradiate dalla luce divina che non lascia ombre, sia che fosse quello dipinto dalla rivoluzione bolscevica. E ogni percorso è un viaggio coltissimo all'interno di un microuniverso quotidiano. Ne è simbolo, forse paradigmatico, la reticella per la spesa, in gergo «avoska», che significa più o meno «Volesse il cielo». L'invenzione materiale risale a un ceco, che decise di trasformare le reticelle per capelli, preoccupato dal calo delle vendite di questo articolo, in uno strumento per compere. Il nomignolo pare invece arrivi da un clown, o da un satirista Anni 30, per dire «Voglia il cielo che torni a casa con qualcosa nella sporta...». Ecco, quello strumento colmo di ironica rassegnazione fu fondamentale nell'era sovietica. Non esistevano sacchetti di nylon o altri contenitori nei negozi, tutti i cittadini si portavano in tasca la comodissima «borsa», perché all'improvviso in una bottega di Stato appariva una merce e occorreva precipitarsi, in coda, ad acquistarla prima che andasse esaurita. Era la speranza, il compagno quotidiano e discreto d'ogni sovietico. I manufatti sovietici sono ora fenomeno vintage di quella ostalgie che affiora tra Germania ed Est-Europa. Nonché residuo della battaglia irrimediabilmente perduta dal socialismo nei confronti del capitalismo. Sconfitto, il primo, non tanto dalle ideologie, o dai valori, ma proprio dagli oggetti, dalla loro penuria, dalla loro simpatica fragilità al cospetto delle merci iconizzate dall'Occidente. |