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C'era una volta in Russia
Anna Zafesova, La Stampa, 08.11.2012
Vita quotidiana ai tempi dell'Urss attraverso 25 oggetti di quel periodo. Un saggio-racconto di Gian Piero Piretto

Erano grandi, imponenti, e non pensati affatto per i bambini, i tasti troppo in alto. Troneggiavano, in serie da quattro-sei nelle piazze, vicino alle stazioni di metropolitana, nei parchi, circondati in qualunque stagione da una pozzanghera di liquido dall'odore sospetto. Bisognava fare la coda (come per qualunque cosa, del resto), infilare la monetina, optare per l'acqua liscia o con uno sputo di sciroppo offerto in vari sapori (pera, mela, arancia o la misteriosa crem-soda) ma che sapeva sempre dello stesso caramello. Poi si prendeva il bicchiere di vetro in dotazione alla macchina, lo si lavava nella fontanella incorporata (se si era scortati da una nonna arrivava anche il fazzoletto per strofinare i bordi per un tentativo di igiene in più), e l'apparecchio lo riempiva della bibita, da bere tutta d'un fiato sotto l'occhio impaziente della coda
assetata. Era un rito dell'infanzia sovietica, la sosta dall'«apparecchio per l'acqua gassata». Oggi
si incontrano solo nei mercatini di antiquariato, e i turisti occidentali restano meravigliati per l'entusiasmo commosso degli indigeni di fronte a questo brontosauro sparito dalla vita dei sovietici diventati russi, insieme con le spillette con Lenin, i colbacchi e gli altri manufatti di una civiltà estinta.

Dalla mattonella di formaggino fuso ai kalashnikov-giocattolo di plastica, dagli stivali di feltro da calzare con le galosce alle sigarette con il bocchino di cartone e il pacchetto con la mappa del canale del Mar Bianco (uno dei primi gulag), gli oggetti non cambiavano mai, né di aspetto, né di prezzo. Si diceva «compra il pane da 22 copechi e il formaggio da 3 rubli», non c'erano quasi mai marchi, etichette, pubblicità. Un mondo omologato che sembrava immutabile, e che ha lasciato nostalgie proustiane, per il sapore del latte condensato e, più tardi, della birra acquosa e
del brandy armeno (qualunque russo si ricorda il prezzo, 16 rubli per un'etichetta con cinque stellette). Erano brutti gli oggetti sovietici, e fatti male, vestiti che avrebbero sfigurato anche Marilyn Monroe, auto che si rompevano sempre, caffè (solo solubile) che sapeva di detersivo e detersivo che lasciava il bucato grigio. Ma soprattutto non c'erano. Praticamente per qualunque cosa bisognava fare la coda, per un'automobile si arrivava ad attese di 4-8 anni. Nelle code si litigava, ci si fidanzava, si passava la vita, anche per acquistare un oggetto inutile ma disponibile, o per far scorta, come per la carta igienica, rara come la tigre dell'Ussuri. L'Urss aveva inventato il distributore d'acqua perché aveva abolito la proprietà privata e non si perdeva in sciocchezze come aprire locali per i cittadini assetati. Ha lanciato l'uomo nello spazio, ma non ha mai inventato il sacchetto di plastica. E così la caccia all'oggetto diventava necessità, ossessione, sport nazionale, sognando un qualunque prodotto occidentale, o almeno la sua confezione (ambitissime le cartine dei chewingum americani, che conservavano ancora l'odore di menta e fragola). Il consumismo dei turisti russi, spesso disprezzato all'estero, compulsivo e mai
gioioso, nasce lì, da un'infanzia passata in coda all'apparecchio per l'acqua gassata. 

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Testo riprodotto unicamente a scopo informativo.

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