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Avoledo: Trieste? Fantascienza pura
Sara Moranduzzo, Il Piccolo di Trieste, 22.02.2003
Narrativa: Con il suo romanzo “L’elenco telefonico di Atlantide” lo scrittore di Pordenone è già un caso.
Dice: “Ho studiato in città e se inventerò una storia futuribile la ambienterò qui”
PORDENONE - Desidera continuare a fare una vita normale; e nonostante il successo si racconta così: “Sono un lavoratore dipendente che si occupa della famiglia e dei sui figli, con un bambino, il più grande, che si sente un po’ trascurato da un papà che ultimamente sta spesso fuori casa”. Che sia per lavoro o per promuovere un libro, a lui, ovviamente, poco importa. E così, Tullio Avoledo, tenendo i piedi ben piantati per terra, aspetta che il giro promozionale termini per potersi ridedicare alla famiglia e ad un bambino che soffre la lontananza del padre. Un giro promozionale, poi, mica da poco: comincerà da Roma il 25 febbraio e continuerà in tutta Italia perchè il prodotto da publicizzare è sì un libro, ma non un libro qualunque, uno dei tanti in uscita cioè. Stiamo parlando, infatti, di uno dei fenomeni del momento. Di un libro che conta più di 500 pagine e che nei primi due giorni (due!) di presenza nelle librerie ha venduto 4000 copie. La prima ristampa (diecimila copie) è andata esaurita nel giro di quindici giorni, e la terza è già arrivata nelle librerie di tutta Italia. L’interesse ha varcato anche i confini nazionali con proposte di acquisizione dei diritti da parte di case editrici francesi e tedesche. Quinto nelle classifiche di vendita nazionali, “L’elenco telefonico di Atlantide” (pubblicato da Sironi), questo il titolo, è uno di quei libri che, come si suol dire, ha fatto il botto, catapultando un esordiente alla ribalta nazionale. Primo libro, primo best-seller. Non è cosa da tutti.
Complice un servizio entusiasta sul settimanale “Sette”, Pordenone, città in cui lavora (per quanto riguarda invece il “vivere” si divide tra Pordenone e Maniago) si è svegliata da un giorno all’altro con uno scrittore in più e ha cominciato a parlarne, e tanto. Sarà che la storia di Tullio Avoledo mescola esoterico e surreale; sarà che i luoghi e le circostanze narrati nel volume ci fanno sentire protagonisti di un’altra storia, quella narrata; sarà che magia-fantasia e verità-realtà creano un gioco di rimandi che coinvolge il lettore; fattostà che se si comincia a leggere “L’elenco” non ci si ferma più e non parlare del “fenomeno” Avoledo è impossibile. Suo malgrado.
Timido e riservato, non ama la confusione e la notorietà che gli è piombata improvvisamente addosso: “Io continuo a considerarmi un uomo di famiglia e non un autore. Continuerò a scrivere perché è una passione, ma non voglio che mi condizioni la vita”.

Forse però il successo condizionerà il suo modo di scrivere. Prima dell’”Elenco telefonico di Atlantide” scriveva per sè, ora invece ha un pubblico...
“No. Io continuo a scrivere per me. Dalla prima stesura del romanzo a quando ho saputo che sarebbe stato pubblicato avrei potuto anche uniformare il testo al gusto del pubblico, ma ho scelto di non farlo e non lo farò neppure in futuro”.

Ma come si è spiegato questo enorme ed improvviso successo? Lei non aveva un pubblico che aspettava impaziente l’uscita del nuovo libro. È stata, in fondo, una sorpresa.
“Credo che determinanti siano state le recensioni sulla stampa nazionale e poi, tutto sommato, il libro non si presenta male”.

Ma come ci è arrivato a questo?
“Il libro l’ho completato nell’autunno del 2000 dopo aver seguito un corso di scrittura creativa tenuto a Pordenone da Mauro Covacich e Gian Mario Villalta. Ho cominciato a scriverlo come un compito per casa, una specie di sfida. Avevo già in mente qualcosa: la vasca con l’acqua, la fonte, cioè, dell’eterna giovinezza e il finale. Dovevo collegare le due cose e ho scelto di farlo attraverso un personaggio reale spargendo lungo il suo cammino segnali incongrui. Alcuni temi, poi, tipo il progetto della British Telecom per raggiungere l’immortalità attraverso la tecnologia informatica, mi era stato segnalato da Arthur C. Clarkeª.

Questa è un’altra sua particolarità: intrattenere rapporti epistolari con scrittori noti e arcinoti prevalentemente americani o comunque, di lingua anglosassone.
“Ho cominciato dieci anni fa chiedendo agli autori che più mi coinvolgevano dettagli sulle loro storie, sul loro modo di scrivere. A David Foster Wallace ho chiesto dei consigli di lettura; a Ken Follett sul perché non è mai stato fatto un film su di un suo libro per me eccezionale; con John Le Carrè ci siamo soffermati sulla scelta dell’attore che avrebbe dovuto impersonare il personaggio protagonista di un suo libro se ne avessero fatto un film e ci siamo trovati d’accordo sulla scelta di Ian Holm; con James Ballard mi piace scrivere di cinema...”.

Il cinema è molto presente anche nel suo libro.
“Sì, è vero, non riesco a dissociare film e letteratura”.

Come del resto le situazioni, i luoghi, dove vive e lavora...
“Molti pensano che il libro sia in parte autobiografico e che il protagonista, Giulio Rovedo, rispecchi per alcuni versi me, ma non è vero. È ovvio che cito alcuni fatti o situazioni a me familiari, ma sono dei collegamenti esclusivamente emotivi. Il condominio del libro non Ë il mio condominio, Rovedo non sono io, e cosÏ via. Il fatto, poi, che il libro da un certo punto in poi si addentra in mondi paralleli diventa un modo per prendere le distanze. Ho avuto anche delle piacevoli sorprese: molti lettori, via mail, mi hanno scritto dicendo che si erano identificati in molte situazioni narrate dal libro e perciò mi chiedevano se mi riferivo alla loro città o al loro paese anche molto lontani da qui. Evidentemente, parlando di vita reale e di situazioni normali, l’identificazione è stata facile”.

Torniamo a come è arrivato alla pubblicazione del libro...
“Una volta completato il manoscritto l’ho fatto leggere a Mauro Covacich, che mi ha consigliato di inviarlo alle case editrici. Ne ho contattate telefonicamente venti e solo quattro mi hanno chiesto di poterne ricevere una copia. Ebbene, di queste quattro, una lo ha respinto senza neppure aprirlo, una è fallita, una mi ha mandato un rifiuto con una lettera standard, una non mi ha neppure risposto. Allora, ancora Covacich, mi ha segnalato un suo amico editor, Giulio Mozzi della Sironi, e così dal manoscritto si è arrivati al libro. La storia, però, non finisce qui perchè il prossimo anno, sempre con Sironi, ne uscirà un altro, »Il mare di Bering»”.

Come sarà?
“È un altro dei libri che tenevo nel cassetto ed è molto diverso da »L’elenco telefonico di Atlantide». La cosa curiosa è che se non avessi incontrato l’entusiasmo e la professionalità di Mozzi avrei smesso di scrivere tanta era la frustrazione”.

Quali sono i suoi prossimi impegni?
“Per il momento occuparmi della promozione del libro e poi rimettermi a scrivere. Ho una cosa in lavorazione da due anni che mi piacerebbe finire. Si tratta di una storia vista attraverso gli occhi di un perdente, una storia molto amara. Ambientata anche a Trieste, città dove ho fatto l’università - abitavo a Valmaura -. Trieste mi ha sempre affascinato, la trovo piena di tesori nascosti. Se un giorno scriverò un libro di fantascienza lo ambienterò qui. Trovo sia una città laboratorio che ha anticipato di molto i contrasti di oggi. Guardando, però, a un futuro recente, devo dire che il mio più grande desiderio sarebbe quello di tornare al solito tran-tran del vivere quotidiano”.
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