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Don Luisito: «La mia Chiesa in tuta blu»
Fulvio Panzeri, Avvenire, 25.04.2008
Escono i diari dell’esperienza in fabbrica del prete operaio autore del celebre La messa dell’uomo disarmato. Una teologia scritta dal lavoro delle mani accanto agli ultimi

«Nel febbraio del 1968 entravo in fabbrica. Avevo solo due moventi: quello dell’onestà di fronte alla mia coscienza, e l’altro di avere una retribuzione per il mio sostentamento». Così Luisito Bianchi riassume la sua esperienza di sacerdote che sceglie di fare anche l’operaio. Una scelta che risale esattamente a quarant’anni fa e porta Don Luisito alla consapevolezza che è necessario approfondire il tema della «gratuità» nella storia del ministero, a partire dall’esempio di San Paolo, scoprendo quanto questa tensione sia stata sempre presente nella Chiesa «almeno come tensione e ideale».Tanto che Don Luisito azzarda:« E’ troppo impegnativo e azzardato affermato che tale tensione, coi suoi tentativi di prendere corpo, nella Tradizione della chiesa? Io ne sono convinto, ben sapendo che il mio convincimento è come una rondine: non fa primavera».


Ora, per scoprire il percorso, segnato da domande, interrogazioni, riflessioni, disaccordi, che ha portato Don Luisito a questo suo convincimento e alla necessità di credere totalmente nel senso profondo della «gratuità», abbiamo a disposizione un documento eccezionale, un libro, I miei amici (pagine 910, euro 18,00), edito in questi giorni da Sironi, che ci presenta i “diari”, tenuti, giorno per giorno, dal 1968 al 1970, ovvero del periodo della vita in fabbrica. Anche se strutturate in forma diaristica, l’unità espressiva che tiene unite queste pagine le configura come un grande romanzo in presa diretta, dove già emerge il respiro di scrittore di Don Luisito, confermato poi nel suo libro più noto, La messa dell’uomo disarmato.


All’inizio si trattava di cinque grosse agende «riempite, in fretta e senza pentimenti di scrittura, tra un turno e l’altro», da Pier Carlo Rizzi, «con appassionata e gratuita amicizia»: ora è un ponderoso volume che attraversa tre anni cruciali della storia italian, con sullo sfondo gli anni caldi del movimento operaio, quelli carichi di speranza, ma anche difficili del post-Concilio, i cambiamenti del Sessantotto.
Don Luisito s’interroga sulla sua condizione, sulle proprie scelte, sulla necessità di essere fedele a una radicalità del cristianesimo e di seguire l’esempio di Cristo:«E senza Cristo che senso ha la Chiesa? Come conciliare la fedeltà a Cristo con la fedeltà a “questa” Chiesa nella quale credo, che amo al punto di mettere in rischio la mia sicurezza, che voglio che non ponga ostacoli alla manifestazione di Cristo? E’ la mia sofferenza più grande». Gli interessa, però, soprattutto l’avventura umana della fabbrica, il rapporto con gli altri opera, gli amici citati dal titolo. Tant’è che nella lunga dedica che apre il libro e funge da introduzione troviamo:« Dedico questi “diari” ai compagni di fabbrica, i cui nomi intessono d’amicizia ogni pagina, in modo particolare lo dedico al mio fraterno sodale Giovanni Capenè con cui condivisi per tre anni non solo l’abitazione ma soprattutto le speranze, le gioie, le difficoltà e il senso liberante ed evangelico della scelta di lavorare con le nostre mani».


Un lavoratore che è intriso del senso della “gratuità” per Don Luisito, che s’intuisce in sottofondo alla risposta, nel gennaio 1968, rivolta all’ingegnere che gli chiede perché voglia entrare in azienda:«Rispondo con semplicità: è un atto di onestà di fronte a me stesso e agli altri, dopo tanti anni in cui ho parlato di lavoro e di spiritualità nel mondo del lavoro».
Ha quarant’anni Don Luisito quando varca la soglia dell’azienda, spinto da una esigenza di fedeltà:« Ho scelto la fedeltà al mondo per un’esigenza di fedeltà alla Chiesa, nella ricerca dell’unica fedeltà allo Spirito. Ma dove potrò trovare, in pratica, la saldatura fra la duplice fedeltà?».
È sempre presente nel libro l’interrogazione sulla necessità della
scelta, anche in relazione al tema del prete-operaio. Lui così s’interroga: «Dobbiamo gettarci allora nella lotta per una Chiesa fedele all’Evangelo o per la promozione della classe operaia?». Nel primo caso, quello che ha motivato Don Luisito Bianchi, «ogni mio gesto e ogni mia reazione hanno una dimensione ecclesiale».
Nel secondo invece la scelta potrebbe essere di natura strettamente personale e individuale. Per lui vale una convinzione:«La Parola di Dio attende la mia risposta perché non può ritornare senza effetto». Nel 1970 ribadisce:«L’esperienza di fabbrica è formidabile, di una ricchezza enorme ma non può essere rinchiusa in se stessa bensì deve essere proiettata sul terreno del ministerium».

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