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Camminare attraverso il sonno |
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Tommaso Ottonieri, Carta, 20.02.2003 |
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SIeepwaIking, della giovane esordiente Laura Pugno, è Ia narrazione della vita vissuta attraverso il sonno, le sue “ombre” e “ustioni”. Dai labili “bordi” dell’amnesia della notte alla levigatezza dell'esserci durante il giorno. |
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Il “GHIACCIO”, l'”argento”, la “cera” - e poi, le “oasi”, le “pulizie”, la “perfezione” - e soprattutto, infine, le “ombre”, le “ustiorn”: le tredici visioni impalpabilmente e tanto più tattilmente ‘narrative' - con cui Laura Pugno [voce significativa, e tra le più intensamente astratte, nel panorama della poesia nuova] esordisce al racconto - sin dai titoli portano incisa quella sottile qualità d'increspatura e offuscamento e di quasi inavvertibile rumore, elettrico rumore bianco, che perturba la levigatezza delle sue superfici.
Questi 'pezzi' verbali [ma ancor più, ecco, visuali, fotografici forse, se non proprio installazioni per una galleria virtuale del profondo, e appunto delle sue superfici], musica bianca rigorosamente scritta al presente [ed e' questo, poi, “indicativo presente”, il nome della collana diretta da Giulio Mozzi, in cui simbioticamente vengono ospitati], questi racconti [sfondi, di racconto, e forse, suoi raccordi] vanno a occupare cioè una sottilissima striscia liminale tra la veglia e il sonno, tra il sogno e la memoria, tra l'orizzontalità del suo presente [quasi che tutto stesse accadendo 'adesso'] e l'orizzonte remotissimo, [ma in atto] di un delirio compatto, quasi minerale [che disloca dunque, in un punto stranamente allontanato, tutto ciò che, nel frusciare del silenzio, accade]; ossia Ia cerniera, linea cicatriziale di confine, che incrina la compattezza microustionata del quotidiano inteso non come un pacificante continuum, ma come una inquieta microfisica di slittamenti e di eccezioni. Perché, “il mondo in cui [si] deve vivere quando non [si] dorme”, è uno spazio invaso, inavvertitamente, dalle ombre e le ustioni del sonno; e camminare nel sonno [attraversare il sonno] è la via che conduce all'”assoluto visibile” dove ciò che sentiamo reale, immediatamente si “liquefi e stallizzi” [cosi nell'ispirato risvolto di copertina, da attribuire, credo, allo stesso Mozzi].
Forse è per questo che accanto al motivo-sfondo, dilatatissimo, di amnesia [spazio fisico-mentale, dove è soltanto il sogno che può rendere schegge di memoria], un refrain salente di continuo tra gli interstizi di queste pagine gira torno al concetto del tatuare… Lettere impresse [invisibili?] sopra l'ombelico, e che non si sa parlare - lettere d'inchiostro sulla carta, che si sciolgono nell'acqua che si sta per bere - tatuaggi fatti con l’henné per scomparire presto dalla pelle - pelle persino nel contatto diretto con la videocamera, che s'imprime sul nastro, per subito esserne ricancellata - macchie di sole che tatuano le palpebre, solidificatesi in qualche “cosa che si può toccare” - e l'avvento, infine, fra le tende installate nel “quasi-deserto, sull'autostrada”, di macchinali “decoratori carne”… D'altra parte, il discorso “Sleepwalking” rivela un che di ideogrammatico, quando cose e persone [fin dal primo racconto, “Take away”] sono nominate unicamente in base alle relazioni che intrattengono col sistema di rapporti della protagonista e 'dormiente' [“la ragazza che bada alei”, oppure, “l’uomo che è stato l'amante di sua madre”…]; come se Ia sintassi narrativa stessa avesse da straniarsi in quel campo d'instabilità sub-limine, che essa, insieme, definisce e descrive: spazio dove nulla è certo e tanto meno i nomi sono in grado di garantire alcuna ombra d'una identità continua.
Eppure, se “il mondo intorno smette di “toccare il corpo” [in modo che sia il “mondo intorno”, a toccarlo], dai bordi stessi del sonno bisognerà monitorare, giorno per giorno, la “memoria di ieri”, a partire dal prossimo campo relazionale; procedere nell'amnesia, per non dimenticare: per essersi, l'uno all'altro, un sogno di “memoria perfetta”. |
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