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Dove si è fermato l’orologio della storia
Andrea Zanbotto, Il Giornale di Vicenza, 18.07.2002
Un ambiente naturale protagonista quanto gli uomini nel “Dopoguerra” di Guido Barbujani ambientato nel Delta Po
Un convincente romanzo con un intenso ritmo narrativo che ricorda Fenoglio
E’ una vicenda dalle tinte forti ed enigmatica, tanto da catturare fin dalle prime pagine, in virtù di una scrittura dove l’ambiente e i personaggi acquistano la rilevanza di un film indimenticabile. Ci riferiamo a Dopoguerra (Sironi, pp. 155, euro 10,80) secondo romanzo di Guido Barbujani, vincitore nel 1994 del premio “L’inedito/Maria Bellonci” con Dilettanti (Marsilio). Il racconto, che ha come teatro il Delta Po con epicentro Adria, si snoda tra la fine della guerra e l’inizio del boom economico, tempo nel quale tra ex-partigiani comunisti e fascisti vi sono ancora molti conti in sospeso. Io narrante e protagonista del romanzo è il giovane Werther, impegnato assieme a Martino, suo idolo e amico, nella conduzione di una fabbrica ad Adria, con manodopera composta per lo più da ex-partigiani, con le armi ancora ben oliate e nascoste in posti sicuri, pronti per la rivoluzione. Ma un giorno Martino, il temerario capo partigiano terrore di tedeschi e repubblichini durante la Resistenza, scompare: il camion sul quale viaggiava viene ritrovato immerso per metà nelle acque del Po con il parabrezza fracassato. La dinamica dell’accaduto fa supporre a un’esecuzione con occultazione del cadavere, secondo un rituale del quale i facsisti risultano i maggiori indiziati. Al presente, che vede Werther impegnato a risolvere il “caso” dai risvolti inaspettati, si alternano i flashback sul periodo resistenziale e il primo dopoguerra, tempo di massacri, lutti e terribili vendette, tanto da ricordarci gli orrori del famoso triangolo della morte in Emilia Romagna, così ben narrati da Alessandro Gennari nel Memorabile romanzo Le ragioni del sangue (Garzanti, 1998). Anche in Barbujani, classe 1955, è l’ottica del disincanto a prevalere: i protagonisti di quella stagione non sono eroi ma uomini con debolezze e cadute, e la Resistenza, non più mito, diventa memoria in chi, pur ricordando i tanti lutti patiti a causa del fascismo, alla retorica del cuore preferisce ormai la lucidità della ragione. Verrebbe da dire che il libro ha un ritmo narrativo alla Fenoglio, essendo gli avvenimenti, nel loro susseguirsi carico di suspence, a mostrarci le tensioni interiori dei personaggi, ognuno dei quali prigioniero di un ambiente dove l’orologio della storia pare spostato all’indietro di un decennio. Un ambiente ostile, quello del Delta Po con il suo ecipentro narrativo Adria, nel quale le forze della natura, siano esse sotto forma dell’inpenetrabile cupo grigiore delle nebbie invernali, quanto dell’irrespirabile foschia estiva, sono di fatto l’altro vero “protagonista” di Dopoguerra. L’impossibilità di orientarsi in un habitat dove tutto pare condizionato dalla scarsa visibilità, diventa metafora di un vivere costretto entro orizzonti angusti, di rado rischiarato da luce vivida. Ma proprio quei rari squarci solari capaci di filtrare oltre il grigiore, mostrano il multicolore e un “altro” mondo, così come altro valore, altro significato sembrano, possono, assumere i rapporti tra gli uomini. Brevi incanti di trasparenza, istantanee delle quali lo scrittore, oltre a rivelare il tocco del poeta si serve di queste per mischiare le carte di un racconto denso e intrigante lasciando al lettore libero arbitrio nel giudizio morale dei personaggi. Con questo romanzo Guido Barbujani ha inaugurato la collana Indicativo presente diretta da Giulio Mozzi, assurto a commissario tecnico di una giovanile nazionale letteraria, della quale in qualità di tifosi, e come tali potenziali C.T. al pari dei nostri omologhi calcistici vorremmo che l’autore di Dopoguerra di questa squadra ne fosse il regista.
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Testo riprodotto unicamente a scopo informativo.

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