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Discesa negli inferi di un cronista padano
Franz Krauspenhaar, Liberazione, 18.03.2007
Attraverso una catena di delitti Valter Binaghi entra nello scontro tra bene e male. Inquietante, politicamente scorretto, molto più di un thriller.
Un romanzo inquietante sulla contemporaneità che qualcuno potrebbe con leggerezza chiamare semplicemente thriller ma che è decisamente qualcosa di più. I tre giorni all'inferno di Enrico Bonetti cronista padano è un romanzo che sfugge alle catalogazioni, una sorta di viaggio post-iniziatico alla ricerca del male pervadente la società e le anime di questa società sono in svariatissimo modo latrici. Non è facile riassumere un romanzo così composito. Binaghi, attraverso le peripezie di un cronista padano di nera, ha voluto entrare nei meccanismi quasi mai oliati della macchina delle idee contemporanea e avvistare quelli che sono gli incroci destinali, le contaminazioni insospettabili tra la politica, la cultura, la religione, la criminalità organizzata. E più oltre, o più in basso, va a puntare con decisione lo sgurado sensibile e coraggioso dell'autore, che non ha paura di sporcarsi le mani col Male, con l'agglomerato di quel tutto e di niente che lui scrive, quasi col rispetto dovuto alle divinità, con la maiuscola. Un romanzo contenitore e post-moderno nel senso migliore del termine, nel quale Binaghi ha tentato, riuscendovi, l'ambiziosa impresa di rinserrare in una morsa narrativa il tutto e il contrario del tutto, il bene e il male, scavando infaticabile strati e strati di ingannatrici apparenze.

Il romanzo tocca problemi e argomenti contemporanei che diventano, tramite la narrazione, universali. Ho avuto l'impressione che tra le pagine si creasse una sintesi pregnante per dare risposte innanzitutto a te stesso. È corretta?
Certo, il suo oggetto è il Male: Satana, nella vulgata. È molto più di un problema teorico per ognuno di noi. Ciò che preferiamo considerare come il caso o la necessità secondo alcuni è un disegno intelligente per altri. Oggi è la sistematica riduzione della persona umana a progetto tecnico e merce disponibile, in nome della scienza, dello scontro di civiltà o della qualità della vita dei ricchi. Satana è il mito che i sapienti rifiutano, ma che la gente comune torna a percepire: come Enrico Bonetti, un cronista di provincia, uno che ancora va in giro a sentire le puzze, chiacchiera col barbiere e non scrive gli articoli con l'Ansa».

Quanto di Valter Binaghi c'è nel protagonista Enrico Bonetti? Quanto è invece spalmato in altri personaggi?
Bonetti è un puro, a suo modo romantico: è innamorato di una prostituta slava che progetta di strappare al racket. Io sono un uomo di cinquant'anni, una generazione che ha seppellito molti amici e molte idee. C'è un altro personaggio del libro su cui ho caricato molto del mio. Si chiama Zivago e non dico di più.

Non si può dire che "I tre giorni all'inferno" sia un romanzo sulla disperazione contemporanea. Va oltre: alla ricerca della misteriosa ragione come del farmaco contro questa malattia del secolo. È così?
Il mio è inevitabilmente un romanzo cristiano e questo a prescindere dal fatto che l'autore sia credente o no. inevitabilmente perché l'unica narrazione disponibile a interpretare il Male come progetto e come ragione è la teologia e l'unico pensiero che protegge col sacro la persona umana è il Vangelo. Qualcosa di diametralmente opposto al cristianismo di Bush, che ci vuole arruolare allo scontro di civiltà. Ma non è un romanzo teologico, è un romanzo italiano: c'è il popolo e gli intellettuali. E come la tirannia dell'economico: l'assenza della politica e la futilità della cultura consegnano un paese ai demoni.

Quando hai cominciato a scrivere il libro avevi già un'idea chiara di dove andasse a parare? Puoi raccontarci del tuo metodo di lavoro?
La struttura è complessa, in qualche modo corrisponde a una discesa nei gironi infernali, dove le colpe peggiori sono le meno carnali, fino alla superbia del potere. La materia è vasta: ci ho studiato parecchio e i riferimenti sono molti ed espliciti. Ho messo quello che in un romanzo non si mette mai, cioè una bibliografia finale, perché la vicenda è anche un viaggio tra eresie mediatiche e teorie del reale, leggende della rete e teorie del complotto. Ma anche le citazioni di scrittori italiani che a mio avviso hanno fatto luce su questioni essenziali, e spesso con dei romanzi: Siti, Scurati, Genna, Bernardi, Avoledo.

Il tuo percorso spirituale è particolare e di grande interesse.
A vent'anni nell'area dell'Autonomia, quella più "fricchettona". «Re Nudo», ci ho anche lavorato. Scrivevo di musica, anche qualche racconto. Poi il diluvio, in tutti i sensi. Brutte storie con droghe pesanti. Via da tutto e più scritto niente per vent'anni. Li ho passati insegnando filosofia ai ragazzi del liceo, più che altro una scusa per imparare qualcosa. Ho visto cambiare questo Paese e il resto. Mi sono fatto una certa idea di quello che succede e ho provato a scriverla. Con romanzi. Fiction. Ci sono cose talmente serie che si possono dire solo per finta.

A questo punto della carriera c'è qualcosa di definito in cantiere? "I tre giorni all'inferno" chiude una trilogia e l'impressione è proprio di uno stacco definitivo. Viene da pensare che il Binaghi del prossimo libro sarà molto diverso.
Robinia blues (2004), La porta degli innocenti (2005) e questo. Era appunto una trilogia su tre generazioni di italiani, con un occhio di riguardo all'adolescenza, perché è lì che si scopre il mondo e lo sguardo è più stupito e doloroso. In quest'ultimo libro l'orizzonte da provinciale si fa globale, e il nuovo romanzo che ho iniziato avrà uno scenario fantapolitico: un modo governato da calcio e terrorismo. Ti ricorda qualcosa?
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