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Su e giù tra le imitazioni
Elio Paoloni, Stilos, 05.06.2006
Fornisco qui il resoconto umorale di una lettura. Forse tutte le recensioni lo sono ma in alcuni casi si è più consapevoli di quanto sia poco realistico trattare un libro come qualcosa di compatto e oggettivamente definibile.
Sono stato irretito immediatamente da questa frase del risvolto: “ciascuna delle storie raccolte in questo libro sembra sgorgare direttamente dal contatto con un oggetto”. Bene, da Huysmans a Aldo Nove le scritture sugli oggetti sono le più vive e umane: “Son le cose/che pensano ed hanno di te/sentimento. esse t'amano e non io/come assente rimpiangono te/Son le cose prolungano te” (dal Don Giovanni di Lucio Battisti, testi del grande Pasquale Panella, autore, tra l'altro, del volume minimun fax Oggetto d’amore). Irretiva molto meno la parte finale della presentazione: “Berta è uno scrittore di Letteratura vera, che della Letteratura ama la forza conoscitiva e la potenza di verità”. Ma il marketing ha le sue leggi e probabilmente ci sono potenziali lettori che amano il maiuscoletto. Agghiacciante, subito dopo (dalla biobibliografia nel risvolto di quarta), uno degli altri titoli dell'autore: Oltre la mise en abyme. Teoria della metatestualità in letteratura e filosofia.

Ho cominciato dal primo racconto (cosa non tanto ovvia) e non ho trovato oggetti ma ambientazioni. A caso. Si comincia con una tipica scenografia lavorativa – mensa aziendale - e si finisce nell’appartamento di una anziana, singolare signora. Dopo un attacco irritante (“Prendiamo il caso di Nicoletta – la chiameremo così”) che, al modo di alcuni decenni fa, vuol creare distanza, ammazzare la sospensione d’incredulità prima che nasca, e qualche ripresa dello stesso modo sperimental-disinvolto (“Osserviamo due spettatrici”, “Torniamo in questo preciso momento”) il racconto fila via in maniera tradizionale senza nulla di particolarmente nuovo, salvo alcune considerazioni sui palinsesti, in particolare sulla cadenza delle news.
Sul punto di deporre il libro ho ricordato di essermi recentemente imbattuto in almeno un paio di raccolte il cui primo racconto era non solo il meno riuscito ma anche quello più lontano dalla fisionomia globale del libro. Così ho continuato, ripartendo dall’ultimo dei racconti, che finalmente manteneva le ‘premesse’: “La polvere è un oggetto a sé stante?” Come un Palomar calviniano il protagonista si interroga sull’essenza della polvere, poi passa a riflettere sull’oggetto che ‘sostiene’ quella polvere, il frigorifero.
L’elettrodomestico trasforma il racconto nella variante consumistico-sfigata di un vecchio racconto che vedeva uno scrittore “incompreso” alla prese con una scommessa: un mecenate lo avrebbe reso libero da ogni impegno, in grado di dedicarsi finalmente all’arte, se avesse scritto entro un brevissimo termine l’opera che sosteneva di avere già in mente. Lo scrittore,disperdendosi in vane fantasticherie falliva miseramente. Qui il cassintegrato non riesce a rispettare i termini del concorso che gli permetterebbe di regalare un frigo hi-tech alla moglie. Il suo progetto di racconto è ben prefigurato, lui sì che saprebbe cosa scrivere, se solo… Quel ‘se solo’ è il dramma di ogni aspirante scrittore - o di ogni scrittore inaridito, o di ogni scrittore, punto - la frasetta che può terminare in molti modi, avallando ogni genere di alibi. Ma il racconto di Berta vira ancora, chiudendo con fantasticherie filosofico-infantili sulle emozioni provate delle ‘cose da mangiare’.

Saltabecco tra i racconti con oscillazioni dell'interesse, trovando più coinvolgenti quelli scritti in maniera tradizionale (spesso di tono moraviano nelle riflessioni sui rapporti personali). Quasi tutti sono funestati dal vezzo dei personaggi nominati ottocentescamente con l’iniziale. Non tutti, si badi: metà dei personaggi viene tranquillamente indicata col nome per esteso, il che rende ancor più irritante il ricorso all’iniziale per alcuni. Oh, ci sarà qualche intelligente e contorto motivo dietro a questa scelta, non dubito, ma non mi interessa indagare in proposito.

Trovo un buon Regali di Natale, dove i regali sono pretesto per un'incursione nel genere, tipico di certo cinema (Magnolia, America oggi), dei destini che si incrociano, o si sfiorano soltanto. Poi, dopo una scialba Imitazione di videoclip, arrivo al miglior racconto della raccolta: Imitazione di due uomini. Gli oggetti presi in considerazione, qui, sono i portici, quelli di Bruxelles e quelli di Bologna, soprattutto quelli di Bologna, dove si svolgono vicende apparentemente slegate. Uno dei personaggi, uno schivo eroe civile, chiede ogni tanto al gruppo di ragazzi che frequenta casa sua il permesso di raccontare un aneddoto che calza a pennello (“Ma rispetto a cosa?” si chiedono i ragazzi). “Alla fine ciascuno rifletteva sul significato dell’aneddoto rispetto al contesto, e se non lo intuiva restava ugualmente fiducioso che un significato esistesse da qualche parte”. Uno di questi aneddoti, raccolto in un libricino, viene riletto dal narratore, al quale pare di intravedere un collegamento con la tragica vicenda accaduta a un altro eroe borghese: “Il messaggio mi sembra chiaro, ma poi se mi soffermo a pensarci ne trovo altri che procedono in diverse direzioni, e alla fine di questo intreccio mi dico che forse un messaggio vero e proprio non c’è, non ci deve essere perché altrimenti l’aneddoto vedrebbe ridotto il suo campo di estensione. O forse invece il senso del messaggio è racchiuso tutto in un dettaglio, che scivola immancabilmente fuori dalla rete della mia attenzione”.
Questa riflessione sembra definire l'essenza della narrativa, o di certa narrativa (penso a Alice Munro o a Mavis Gallant). Alludere, aggirarsi intorno alle cose, fungere da cartello indicatore verso l’abisso – o l’oasi – dell’indicibile. Infatti nella dichiarazione di poetica in ultima pagina, Berta sostiene che il linguaggio deve ‘dire’ parlando d’altro, fingendo di essere arrivato all’ultimo istante”. Ma il procedimento è rischioso: facendo mostra di parlar d’altro, può succedere di parlar d’altro davvero. Non sempre il lettore 'resta ugualmente fiducioso' che un significato debba esistere da qualche parte.
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Testo riprodotto unicamente a scopo informativo.

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