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Imitazioni della vita |
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Sandro Dell'Orco, Libri e riviste d'Italia, 01.05.2006 |
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Dalla collana ‘Indicativo presente’ di Giulio Mozzi ancora qualcosa di nuovo e interessante. Perché questi dieci racconti dell’esordiente Luca Berta intrigano il lettore in modo sottilmente straniante, come se ciò che viene esposto in primo piano – pur ben costruito, coinvolgente e dotato di una propria autonomia e consequenzialità – non fosse l’essenziale, ma rimandasse oscuramente ad altro, a qualcosa che non è rappresentato in alcuna parte del testo, ma di cui si avverte continuamente la presenza.
Ora, a ben vedere, l’aura (o il ‘sentore’) di questo altro, deriva tutta dalla acribia mimetica dell’autore, che identificandosi totalmente con la sua funzione rappresentativa – escludendo cioè ogni espressione – svanisce letteralmente nell’oggetto rappresentato suscitando l’inquietudine del lettore in doppio senso: per la sua assurda scomparsa e per il raggelamento del narrato che ne consegue. In altri termini, l’altro, di cui il lettore avverte angosciosamente la mancanza, è la vita stessa dell’autore, pompata via dal testo e dalle sue rappresentazioni, e presente solo come fredda, automatica funzione logico – mimetica.
Così può accadere che i personaggi, pur perfettamente delineati sotto ogni punto di vista (fisico, psicologico, ambientale ecc.), e quindi vivi e plausibili, siano in realtà intimamente spenti, come se le esperienze che direttamente o indirettamente li attraversano (amore, amicizia, maternità, malattia, vecchiaia, infanzia) non suscitassero in loro reali emozioni, ma venissero accolte e registrate in stato di sostanziale indifferenza e catatonia. Sembrano tutti vittime di un remoto e rimosso disastro interiore che li abbia resi ottusi per sempre alla percezione stessa delle emozioni.
Che il narratore, nelle dichiarazioni estetiche alla fine del libro, non sembri consapevole di ciò, e interpreti come percezione di un metafisico e chimerico altro (che sarebbe il fine e l’essenza della letteratura!) quello che invece è l’effetto della sua posizione - raggelata e raggelante - in rapporto all’oggetto da rappresentare, non deve sorprendere, né toglie nulla al fascino della narrazione. Questa infatti, com’è giusto, non si risolve nelle intenzioni dell’autore – che tra l’altro non è tenuto a comprenderla – ma le travalica sviluppandosi secondo una logica autonoma.
Complessivamente un buon esordio, marcato da una coraggiosa e controcorrente ripresa della mimesi quale mezzo principale di rappresentazione letteraria.
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