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Tra compagni duri e puri Lenin ballava il liscio
Giancarlo Donati, Quotidiano Nazionale - Il resto del carlino, 23.04.2004
STORIE DELLA BASSA Un romanzo di Giuseppe Caliceti
Intervista allo scrittore reggiano che racconta la saga dei vecchi pensionati comunisti che difesero il busto di bronzo di Cavriago
CAVRIAGO (ReggioEmilia) - Piazzale Lenin, fresca di restauro, è stata inaugurata e benedetta dal parroco. E l’aspersorio non ha avuto esitazioni né ha fatto distinzioni, assegnando la giusta quota di acqua santa anche a lui, Vladimir Illic Ulianov, detto appunto Lenin, immobile nel suo bronzo ultrasettatennale.
Spuntato dalla vita reale, il curioso episodio sembra un capitolo del bel romanzo dello scrittore reggiano Giuseppe Caliceti, Il bustodiLenin (Sironieditore), ispirato ad una vicenda di cronaca che tenne le pagine dei giornali ai tempi della dissoluzione dell’Urss e del cambio di nome del Pci. C’era appunto quel bronzo nella piazza di Cavriago, un regalo del popolo dell’Unione delle Repubbliche socialiste sovietiche. Conservarlo o deportarlo? Alla fine, dopo polemiche, vandalismi e persino attentati, venne conservato. Caliceti (nella foto) entra in una materia che, pur nel segno di quella vena di sottile follia che attraversa la Bassa padana da Bertoldo a don Camillo, da Folengo a Gene Gnocchi, resta tuttora incandescente perché contiene valori radicati e profondi, specialmente in queste terre. Racconta le imprese di un gruppo di vecchi comunisti ed ex partigiani che mentre tutto crolla si aggrappano come devoti a quell monumento, simbolo del loro orgoglio e della loro storia (Cavriago peraltro è famosa per essere stata una delle città più comuniste d’Europa).
Caliceti, classe 1964, autore fra l’altro di Fonderia Italghisa, romanzo di culto per i giovani, fa il maestro di scuola ed è uno degli organizzatori di “Ricercare”, il laboratorio di nuovi narratori che si tiene ogni anno a Reggio Emilia. Sotto il bronzo di Lenin parliamo del nuovo romanzo mentre un protagonista di allora arriva con un regalo per lo scrittore, una rarità d’epoca, una bottiglia di lambrusco “Rosso Lenin”.

Chi è il Bruno della dedica?

«E’ il protagonista di allora, che nella finzione ho chiamato Libero, il leader di quei cinque o sei pensionati che nella realtà, tra il 1989 e il 1991, hanno davvero difeso il busto di Lenin».

Che cosa faceva di notevole oltre a custodire il bronzo?

«Era un comunista che contestava la svolta del Pci, aiutava gli anziani della casa di riposo, faceva la spesa per le suore, cose del genere».

Lei ha scritto un omaggio a Lenin o a quei pensionati?

«Un omaggio al sangue dei vincitori».

Polemico con Pansa e “Il sangue dei vinti”?

«No, è un semplice dato di fatto. Non dimentichiamo il sangue e le lacrime dei vincitori, o presunti tali, coloro che comunque ci hanno consegnato una democrazia».
v Anche lei è stato o è comunista?

«Io? Sono e sono stato violinista».

E’ una nuova corrente Ds?

«Un violinista è uno che suona il violino».

Lei suona?

«Non quanto vorrei perché devo lavorare».

E la politica?

«Sono laico e vengo da una famiglia di cattolici dossettiani».

In che cosa si assomigliavano, come lei racconta, le sezioni del Pci e le parrocchie?

«Nel cercare e fornire dei valori condivisibili».

Comprese le feste dell’Unità?

«Beh, al di là di tutto, ottocento o mille persone che lavorano gratis che cosa le dicono?».

Ecco perché uno dei protagonisti è l’impresario musicale che porta Celentano e ClaudioVilla.

«Nonèperquello,masarebbetroppolungo spiegarloperchédovremmoparlaredel liscio».
v Il ballo?

«Dire un ballo è poco, il liscio è stato come un corso di emancipazione, soprattutto le donne, in largo anticipo sul femminismo. Per la prima volta le coppie si toccavano e la donna stava alla pari con l’uomo.Molto trasgressivo».

Scrittore di giovani e ora scrittore di anziani. Un bel salto.

«Minore di quanto possa sembrare. In un mondo basato sul lavoro e sulla produttività entrambi I gruppi ne sono fuori, in una specie di purgatorio, una zona di libero pensiero dove c’è la possibilità che esca qualche cosa di nuovo».

Stavolta che cosa è uscito?

«L’orgoglio di una generazione in crisi di identità che si difende riconoscendo, e non nascondendo, la propria storia, per quanto dolorosa».

Una critica verso sinistra?

«Lasciamo stare. Sennò succede come con Fonderia Italghisa».

Che cosa accadde?

«Che l’Unita_lo stroncò e Il Secolo d’Italia ci fece due pagine».

Come finì?

«Lo adottò Edoardo Sanguineti. E così all’università di Genova, tra la sorpresa generale, accanto a Dante, comparve la Fonderia».

E questo romanzo chi lo adotterà?

«Non lo so. Intanto ne appenderò una copia al collo di Lenin, come faceva Bruno con le lettere che gli scrivevano da ogni parte. Le appendeva al busto in modo che la gente potesse leggere, discutere, giudicare e decidere».
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Testo riprodotto unicamente a scopo informativo.

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