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Così fallì l‘atomica nazista
Romeo Bassoli, Il Messaggero, 22.09.2005
Il “club dell‘uranio” che perse la faccia
Metti una decina di scienziati atomici di una potenza sconfitta dentro una vill-prigione, dove vengono accuditi dagli attendenti ma viene anche registrata ogni loro conversazione. Fai scoprire a questi uomini sicuri di sé e pomposi che i loro aversari scientifici e militari – che credevano arretrati – sono riusciti ad arrivare dove loro avrebbero voluto ma hanno tentato invano ( convincendosi che era impossibile). Infine, metti che nel bel mezzo di questa lussuosa prigionia ad uno degli scienziati sconfitti e umiliati venga conferito il premio Nobel, anche grazie all‘interessamento di alcuni suoi carcerieri.
Aggiungi una spruzzata di sesso (una giovane affascinante spia, un aitante membro del controspionaggio) e sei in un racconto di Ken Follet.
Niente sesso, invece, perché qui siamo nella Storia. E che Storia. Siamo nella tarda primavera del 1945, la Germania sta cedendo al duplice assalto di alleati e sovietici. Gli americani che stanno finendo di preparare la loro bomba atomica, mandano in avanscoperta un gruppo di militari guidati da un fisico ebreo con un solo scopo: arrestare prima che arrivino i russi gli scienziati tedeschi che alavoravano attorno al segreto nucleare. “Il Club dell‘uranio” con premi nobel (anche futuri) e grandi personalità, ma anche un sorprendente fallimento: non sono riusciti né a fare una bomba né a fare un motore.
Il “club” viene arrestato, spedito prima in Belgio e poi in una casa di campagna chiamata Farm Hall, vicina a Cambridge, in Inghilterra. Isolati (nessuno deve sapere che sono lì), accuditi e spiati gli scienziati tedeschi parlano e parlano. Mostrano un altro punto di vista, quello degli sconfitti, ma anche una cultura arrogante e convinta di una superiorità di qualche tipo. La sintesi di questa incredibile vicenda, con le registrazioni originali commentate dall‘ufficiale inglese che seguiva l‘operazione, arriva ora in libreria con un libro dell‘editore Sironi. Il club dell‘uranio di Hitler. I fisici tedeschi nelle registrazioni segrete di Farm Hall, curato e commentato da Jeremy Bernstein, con introduzione di David Cassidy (432 pagine, 27 euro). Guardando in questo documento preziosissimo, i fisici tedeschi sono davvero penosi. Tronfi e sprezzanti nei primi mesi, sono convinti di essere reclusi per l‘incredibile avanzamento delle loro ricerche. Di Hitler si parla come di un incidente. Ciò che conta è la Germania che, purtroppo ha perso la guerra. Quando arriva la notizia di Hiroshima sono devastati. Scoprono di non essere avanzati di cinque anni, ma indietro di tre (per capire quel che hanno fatto gli alleati è fondamentale il libro di Richard Rhodes, L‘invenzione della bomba atomica, Rizzoli editore). Cercano di non crederci, poi di spiegarlo scientificamente (sbagliando). Infine, cominciano a pensare come salvarsi la faccia. E inizia a nascere la versione che adotteranno fino alla fine della loro vita (si veda il bel libro di Stefania Maurizi, Un bomba, dieci storie, Mondadori editore). Quella secondo cui loro non volevano fare la bomba, anzi hanno sabotato il progetto. E si sarebbero limitati – se i bombardament degli alleati e le rivalità nel regime nazista non li avessero frenati – a fare un motore all‘uranio. Non viene loro in mente che non hanno fatto né l‘una né l‘altra perché un regime folle aveva svuotato le Università tedesche cacciando e uccidendo gli intellettuali ebrei e non allineati al nazismo. Perché erano autoritari, isolati e boriosi. E la scienza, per progredire, ha bisogno di democrazia, confronto e umiltà.
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Testo riprodotto unicamente a scopo informativo.

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