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L’ultima partita di Pasolini a Ostia |
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Paolo Pegoraro, Letture, 01.03.2005 |
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Caro Saint-Exupéry, l’essenziale non è invisibile agli occhi, anzi, è proprio sotto quegli occhi che guardano senza vedere, non più tersi né devoti. Per questo la scrittura di Garlini ha del miracoloso, ancora fedele all’umile invincibilità delle sue prime poesie: «Non c’è modo di trattenere chi vuole lodare le cose» (Le cose che dico adesso, Nuovadimensione 2001). La lode muta lo sguardo, lo fa grande e luminoso come il sole, casto come l’acqua. Così il lessico di Garlini s’è fatto elementare, la sintassi versicolare: porge docile le cose ai nostri sensi, ne rinnova la percezione ammazzata dalla più ingrata abitudine. La realtà è ammansita, ci viene incontro con una commovente familiarità mai venuta meno, una fraternità universale, francescana; la semplice grandiosità di Tommaso da Celano. Fùtbol bailado, in effetti, è un’agiografia laica come già il precedente romanzo, Una timida santità (Sironi 2002). Racconta di Francesco Ferrari, leggendario calciatore del Perugia ’78-’79 le cui vicende s’intrecceranno con un Pasolini determinato a inscenare il proprio martirio e con Vincenzo Guerra, terrorista nero eroicamente avvinghiato ai propri ideali. La storia è narrata da Alberto, alter ego dell’autore, rappresentante delle generazioni cresciute dopo il peccato originale del boom economico. Disperati, Pasolini come Vincenzo inseguono una purezza scomparsa dai loro mondi; e la riconoscono nel calcio danzato di Francesco Ferrari, che passa tra gli scandali del calcio-scommesse senza perdere la propria innocenza.
Fremono di religiosità pascoliana queste pagine, agognano alla beatitudine degli uccelli e degli infanti, allo stato edenico che pure si sa perduto per sempre. C’è vigore, incanto ora fresco ora languido, c’è la delicata sapienza dei bambini, c’è l’infinito rimpianto verso padri sempre assenti, mai conosciuti. Ma c’è anche consapevolezza del solo cambiamento possibile e giusto; come dirà Francesco a Pasolini: «Non si può essere figli per sempre».
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