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Pausa caffé |
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Valerio Cruciani, Daemon, 01.03.2005 |
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I sessantotto capitoli o episodi che formano Pausa caffé, opera interamente dedicata alla realtà del lavoro, sono a prima vista completamente slegati tra loro. Ognuno di essi un più o meno perfetto e autonomo esempio di letteratura contemporanea: ci sono voci femminili e maschili in prima persona, ci sono anziani e bambini, genitori e figli, dirigenti e operai. La maggior parte dei capitoli riguarda il mondo della telefonia (i call center), ma troviamo anche vecchi emigranti italiani, attrici porno, politicanti, venditori porta a porta, e chi più ne ha… Il tarlo dell'inautenticità, con rarefatte eccezioni, rode a fondo tutti i rapporti umani.
In posizione centrale c'è quella che può essere considerata la chiave di lettura di tutto il libro: il capitolo "Noi".
Qui l'autore sconfina nel metaletterario, se stesso davanti all'autorità suprema, al cospetto del Sommo Amministratore Delegato, e con bagliori di crudissima verità quasi acceca il lettore. Ecco due passi del capitolo in questione: "[…] i conflitti sono morti come la discomusic." Memorie di cinema, come dice l'interlocutore stesso, ma certamente anche memoria di un grande finale di Giorgio Gaber: "Non si riesce più a dar fastidio a nessuno." L'impotenza di tutto di fronte alla vittoria schiacciante del lato peggiore del Capitale.
E poi: "Le parole non servono per comunicare! Le parole sono un prolungamento della produzione industriale! Le nostre risorse hanno dimenticato l'esistenza di migliaia di parole, ripetono costantemente le nostre, anche a casa […]". In queste tre righe risiede non solo la soluzione al falso problema romanzo-non romanzo (simile al paradosso della pipa di Magritte), ma trova compimento soprattutto la lezione linguistica di Pasolini (ma anche di Paolo Volponi). Infatti, possiamo dire che gli episodi di Pausa caffé siano legati tra loro dallo sparpagliamento di elementi microtestuali ridondanti, oltre che tematici: ora l'assenza di punteggiatura, ora una punteggiatura da esaurimento nervoso; l'elencazione; inserti dialettali e gergali; la repetitio; la trascrizione di brani di nuda realt; calchi grammaticali dall'inglese. Da questo humus, ecco che spunta Pasolini: il linguaggio che adotta Falco, anche nel discorso diretto, il linguaggio della grande industria, della tecnologia telematica e informatica, il linguaggio della contabilità. E nell'arco delle circa trecento pagine, si consuma e rivive il linguaggio dello sfruttamento odierno, dello spostamento dell'individuo da sé.
Non aspettatevi nessuna consolazione dal bellissimo esordio di Falco: lo specchio crudele della nostra realtà, che qui sembra essersi quasi scritta da sé come un intollerabile flagello per le nostre coscienze. |
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