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Avoledo, un'"Unione" in cattivo stato
Sergio Frigo, Il Gazzettino, 24.01.2005
Nel terzo libro dell’autore pordenonese una vicenda fantapolitica tra un passato celtico inventato e un complotto secessionista

«Ma i miei personaggi non sono tutti buoni o cattivi, e a volte il loro disagio è anche il mio»
Acquistare un libro di Tullio Avoledo non è molto conveniente: spendi 17 euro e cinquanta, come per questo "Lo stato dell'unione" (edito ancora da Sironi), e poi... te lo bevi in un attimo, nonostante siano quasi 400 pagine. Ma la storia che cattura, i colpi di scena che si susseguono, il montaggio serrato, le figure ben scolpite, confermano le doti di narratore di razza dello scrittore pordenonese, mentre la compattezza della costruzione e la cura del linguaggio, sempre più fluido e accattivante (divertente il "domino verbale" che collega fra loro tutti i capitoli), costituiscono un passo avanti rispetto ai due libri precedenti, come "L'elenco telefonico di Atlantide" e "Mare di Bering", che pure hanno venduto, rispettivamente, le ragguardevoli cifre di 60 e 40mila copie.
La vicenda, innanzitutto. Il protagonista, Alberto Mendini, è un pubblicitario cinquantenne sull'orlo del fallimento, che riceve dall'avvenente assessora alla cultura della sua Regione (una landa che sembra un po' Veneto e un po' Friuli) l'incarico di promuovere la campagna per l'Identità Celtica, in cambio di una cifra che neppure uno scettico sinistrorso come lui può permettersi di rifiutare: anche se sa bene che i Celti, da quelle parti, non ci sono mai stati, e se pian piano scopre che dietro l'operazione "culturale" si cela un vero e proprio progetto politico - ovviamente segreto - di stampo separatista-xenofobo, egemonizzato dal governatore di una regione austriaca confinante.
Insomma, siamo dalle parti del "romanzo fantapolitico del presente", dove la bella assessora gambalunga, il gelido e prestante leader austriaco, persino il governatore imprenditore di sinistra, hanno delle matrici riconoscibilissime, anche se Avoledo rifiuta qualsiasi identificazione, sostenendo che la sua è solo «una commedia nera» che dalla politica prende in prestito solo spunti, idee, situazioni. E infatti da un certo punto in poi il libro, pur ancorato ad un presente che anticipa il nostro di appena qualche mese, decolla con decisione verso scenari fantascientifici, dove i morti parlano (e magari cantano con voce purissima), un astronauta americano registra messaggi dal futuro, e... la luna non è mai stata conquistata. Perchè, come nei romanzi precedenti, Avoledo continua generosamente ad aggiungere carburante alla sua trama, anche laddove gli altri cominciano a frenare e a tirare le somme. E come nei precedenti ripete e anzi enfatizza la struttura cinematografica, con la messa a punto di scene e dialoghi che potrebbero essere calati pari pari in un film.
«Questo libro ce l'avevo pronto fin dal settembre del 2002 - racconta Avoledo - solo che poi ci ho lavorato a lungo di sottrazione e di lima, con ben sette stesure, rileggendo i dialoghi ad alta voce, provando e riprovando le battute e tagliando una ventina di pagine».

Il romanzo si muove fra ricostruzioni storiche fantasiose e aggiornatissime operazioni di marketing politico. Come mai questa virata?

«Chiarito che non si tratta di un libro politico, devo dire che mi inquieta il forte ritorno di interesse per temi, personaggi, slogan del passato nazifascista, e il rimestare nella storia per strumentalizzare politicamente il presente. Anche perchè tutto questo avviene contestualmente ad un grande revival di una fantasy che, da Tolkien in poi, guarda solo al passato e agli universi paralleli: è una regressione che non si dovrebbe sottovalutare, perchè sappiamo che le prime cose che fanno i nazisti quando conquistano il potere è riscoprire o inventare dei presupposti mitici che lo legittimino».

Il protagonista appare eticamente confuso: si appella al suo stato di bisogno e alla sua neutrale professionalità per giustificare scelte immorali, si fa affascinare da videomessaggi razzisti...

«Non mi piacciono i personaggi manichei, i miei "eroi" sono sempre "non eroi". Alberto, poi, si comporta correttamente quando lavora da solo, ma quando opera in un gruppo vi trova tutte le giustificazioni che gli servono, aggiunte al piacere della sfida professionale e al richiamo alla sua bravura tecnica. D'altra parte anche lo sterminio degli ebrei fu deciso e attuato collegialmente, parcellizzando le responsabilità e quindi neutralizzando gli eventuali sensi di colpa».

Specularmente, quando parla delle contraddizioni della società meticcia l'assessore trova degli accenti convincenti...

«É la parte più velenosa del libro, che ha messo in crisi anche me, mentre la scrivevo. Perchè come spesso accade nella realtà, persone che dicono cose orribili poi ne sostengono delle altre condivisibili. Viviamo in una società confusa, e io stesso mi sento a volte confuso come i miei personaggi».
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Testo riprodotto unicamente a scopo informativo.

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