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Inner City Blues |
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Giancarlo Susanna, Railibro, 01.08.2004 |
Railibro.rai.it |
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Le vicende della detective di Giorgia Cantini nel noir bolognese di Grazia Verasani: "Quo vadis, baby?" |
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Muovendosi in una Bologna che ci sembra al tempo stesso familiare e un po' ostile, Giorgia Cantini, detective privata disincantata e disillusa, risolve casi di normale amministrazione. Si porta dentro da anni il dolore per il suicidio misterioso della sorella, che alla fine la costringe a fare i conti con se stessa e con le sue scelte di vita. Questa in sintesi la trama di Quo vadis, baby?, uno dei più interessanti noir pubblicati in Italia negli ultimi mesi.
La prima volta che abbiamo sentito parlare di Grazia Verasani è stato nel 1995, quando la scrittrice bolognese vinse il Premio Recanati per la canzone d'autore. L'album che incise di lì a poco e che conteneva ovviamente "Devi morire", l'aggressiva canzone che le aveva fruttato l'importante riconoscimento, era interessante forse più sul piano della scrittura dei testi che su quello strettamente musicale e anche per questo non ci sorprese più di tanto ritrovarla nel catalogo di Fernandel.
Le strade della scrittura sono davvero tante. Con la Fernandel Grazia Verasani ha pubblicato L'amore è un bar sempre aperto (1999), Fuck me mon amour (2001) e l'antologia di racconti Tracce del tuo passaggio (2002). Nel 2003 è andato in scena in Italia e in Germania un suo lavoro teatrale, From Medea.
Quo vadis, baby? - un titolo curioso, la cui spiegazione preferiamo lasciar scoprire ai lettori - è stato appena edito da Colorado Noir ed è una "detective story" nel senso più classico del termine. Soprattutto per la capacità della Verasani di catturare il lettore e tenerlo in sospeso fino alle ultime pagine del libro. D'altra parte c'è un'originalità che deriva da più fattori: la scrittura al femminile - se ci perdonate una notazione un po' scontata - e l'ambientazione in una città come Bologna, che nel giro di pochi anni è diventata il teatro privilegiato di scrittori come Carlo Lucarelli o Gianfranco Nerozzi, per non parlare di Gianluca Morozzi, che proprio nel capoluogo emiliano ha ambientato il suo ultimo libro, Blackout (Guanda), un thriller con tanto di suspence e serial killer.
Già in questo primo noir, Verasani disegna il profilo della detective Giorgia Cantini, che conquista immediatamente la simpatia del lettore e che ci piacerebbe ritrovare in altre disavventure. Di questo e altro abbiamo parlato proprio con l'autrice.
D. Ci puoi raccontare qualcosa di più su di te? Famiglia, studi...
R. Premetto che ho quarant'anni e che, anche se ho cominciato a pubblicare racconti su riviste molto presto (grazie a Gianni Celati e a Roberto Roversi), mi considero una "musicista che scrive". Così mi suona un po' meno ridondante e mi fa pensare che in fondo appartengo ancora a una categoria meno intellettuale (quella dei musicisti appunto) con cui ho condiviso gioie e dolori per un buon decennio, facendo un vero gioco di squadra, lontana dalla solitudine della penna che a volte mi sta stretta.
Ho lasciato la facoltà di filosofia dopo nove esami, ho studiato pianoforte per dieci anni e a venti mi sono diplomata attrice all'Accademia d'arte drammatica. Dopo cinque anni vissuti a Roma, recitando per il Teatro Stabile dell'Aquila e quello di Torino, sono tornata a vivere a Bologna dedicandomi alla musica, alla scrittura, e, per vivere, al doppiaggio (dai cartoni animati ai film porno, dai documentari ai videogiochi). La mia famiglia ha dovuto soccombere davanti a questa necessità di esprimermi a qualunque costo (anche se "guitteggiavo" in un eclettismo confuso che mi dava ben poco da mangiare). Insomma, mi hanno sopportata e sostenuta. Ma mia madre è sempre stata una che, se le telefonavo per dirle di comprare Il Resto del Carlino perché c'era un articolo su di me, mi rispondeva: "No, ho già comprato L'Unità".
D. Com'è nata la tua passione per la scrittura?
R. Devo tutto ad Antonio Faeti, scrittore e docente universitario, che è stato il mio maestro elementare. A dieci anni, mi regalò un quaderno/diario dove mi chiese di scrivere un resoconto delle mie vacanze. Da allora non ho più smesso di scrivere, né di leggere.
D. Com'è nata la tua passione per la musica? E' venuta prima o dopo di quella per la scrittura?
R. La musica è arrivata dopo, per quanto suonassi il pianoforte classico fin da bambina. Ho cominciato alle ex Caserme Rosse e alla Scandellara, studi di registrazione con sale prova annesse, dove ho registrato i miei primi demo intorno all'88. Mi mettevo al piano, trovavo accordi e melodia e poi scrivevo il testo (capitava che registrassi un'idea con un walkman mentre guidavo la macchina).
D. Nel 1995 hai vinto il Premio Recanati e poi hai inciso quello che finora è il tuo unico disco, cosa ne pensi a distanza di qualche anno? Forse a certe arditezze sul piano dei testi non corrispondeva un suono adatto... forse avrebbe dovuto produrti Tom Waits...
R. A Recanati vinsi con un pezzo, Devi morire, che divise in due la critica per il testo crudo, pieno di parolacce. Nel '96 incisi Nata mai con la Bmg e ci furono apparizioni televisive, concerti e l'esperienza magica come band supporter ai Jethro Tull, davanti a 4.000 persone. Ero molto timida sul palco, spesso dovevo bere, e alla fine mi ritrovai con un'ulcera e una gran stanchezza, oltre che sbattuta fuori dal nuovo direttore artistico della Bmg - arrivato per quei soliti cambi di poltrona - che di me non voleva saperne. All'epoca del disco, i discografici mi fecero pressioni sull'arrangiamento, lo volevano pop-rock, meno cantautorale e più commerciale. Nel '96 la crisi era già forte, ma i discografici si ostinavano a fare i fenomeni. Be', ora sono alla frutta, e mi verrebbe da dire che se lo meritano (parlo di questo nel mio primo romanzo L'amore è un bar sempre aperto). La mia ultima esibizione risale al 2000: un felice duetto con Nada, artista che stimo molto. In un cassetto tengo miriadi di nastri, più di 70 brani inediti, che non riascolto mai.
D. Da quel momento ti sei dedicata solo alla narrativa o hai continuato a scrivere canzoni?
R. Ho collaborato con vari artisti, sia come corista (anche per Elio e le Storie Tese), sia come paroliera (Con Fede Poggipollini, chitarrista di Ligabue), e con produttori come Roberto Vernetti (Elisa, Delta V). Ho inciso la voce in varie produzioni di Irma Records. Diciamo che continuo a fare cose tra amici. E mi divertono i reading, dove posso leggere i miei testi con sottofondo musicale.
D. I tuoi libri fino a Quo vadis, baby? sono tutti editi da Fernandel. Com'è avvenuto il passaggio da questo piccolo editore a Colorado Noir (Mondadori)? E perché proprio un noir?
R. Devo moltissimo a Fernandel. Mi ha permesso di pubblicare due romanzi (L'amore è un bar sempre aperto e Fuck me mon amour) e una raccolta di racconti, Tracce del tuo passaggio. Senza la piccola editoria che funge da talent scout, senza il suo mecenatismo appassionato e assai poco remunerativo, mi chiedo come farebbero le major a conoscere nuovi scrittori... Poi ho incontrato Sandrone Dazieri, sulle scale di un locale bolognese e gli ho fatto leggere Quo vadis, baby?, premettendogli che non ero una grande lettrice di gialli (amo Chandler e tra i giallisti francesi: Izzo, Manchette). Dieci giorni dopo firmavo il contratto.
Credo di avere dato a questa storia un "vestito" giallo perché mi sembrava il più adatto, puntando su un noir di tipo introspettivo, psicologico (qui non ci sono ammazzamenti né detective "all'americana", per intenderci). Era da un po' che ragionavo sulla paura, sul fatto che qualcuno ha detto che abbiamo una mano Jekill e una mano Hyde. Allora ho cercato di capire se ero in grado di sviluppare un intreccio narrativo a scatole cinesi, con la suspence necessaria a tenere lì il lettore. Ma la molla è stata l'idea di investigare su un suicidio: l'investigazione più privata che esista, oltre che un rebus senza soluzione.
Stranamente, il finale del libro, è la prima pagina che ho scritto.
D. Secondo te perché Bologna è lo scenario preferito da tanti autori di noir?
R. E' vero, Bologna (per quanto mi capiti di frequentare pochi scrittori) è piena di giallisti, anche se non tutti i loro libri sono ambientati "dentro" la città.
Forse il fatto che intriga è che Bologna abbia i portici, che riparano dalla pioggia e dal sole, intubando la gente dentro chiaroscuri, o che è una città "terragna", abbastanza lontana dal mare. Non so. E' anche vero che Bologna negli ultimi anni si è omologata, appiattita, al punto da aver perso il suo distintivo di città diversa. Quella che ho cercato di descrivere è la Bologna di oggi e lo sguardo, credo, è di chi rimpiange il rapporto con la piazza (un esempio: la marea di sacchi a pelo azzurri che copriva Piazza Maggiore, la notte che precedette il concerto di Patti Smith del '79) senza però calcare troppo la mano sulla nostalgia.
D. Quanto c'è di te in Giorgia Cantini? Forse non lo volevi in modo consapevole (forse sì), ma alla fine hai descritto attraverso Giorgia un'intera generazione. Ben vengano i noir se sono così interessanti anche da questo punto di vista.
R. C'è abbastanza. Anche se ho cercato di elevare la mia esperienza personale su un piano più universale, evitando però di creare un distacco emotivo che rendesse meno autentico il mio modo di sentire le cose direttamente sulla pelle. Di me c'è l'ex musicista. C'è la donna di oggi che vive l'amore e il sesso con più realismo, più autonomia, senza però cadere in ridicoli stereotipi di trasgressività. C'è la donna che si altera (con canne, alcol) perché è dura affrontare la vita senza raccontarsela un po'. C'è un vivere in trincea, sulla difensiva, ma anche la capacità di rimettersi in gioco. C'è il disincanto che non è cinismo, e l'ironia di chi cerca di non prendersi troppo sul serio. E poi sì: la mia generazione. Questi acciaccati single professionisti, questi delusi dalla politica, dal rapporto di coppia, da ideali naufragati in una linea d'ombra che si protrae ad infinitum. Una generazione che vivacchia ancora sulla lunga coda dell'esistenzialismo. Be', ce ne sarebbero di cose da dire!
D. Ci puoi dire qualcosa sul tuo lavoro teatrale?
R. Ho scritto From Medea, una pièce teatrale sull'infanticidio, che è andata in scena a Roma nel 2002 e che sarà pubblicata da Sironi Editore a fine settembre. Il tema del maternity blues mi toccava molto. Quattro donne si raccontano la loro vita nella stanza di un ospedale psichiatrico giudiziario, dove scontano la pena per aver ucciso i propri figli. A volte penso che From Medea è la cosa migliore che abbia mai scritto.
D. A cosa stai lavorando? Possiamo sperare di ritrovare Giorgia Cantini in un'altra avventura?
R. Attualmente collaboro alle sceneggiature di film di registi esordienti, ho in progetto un nuovo testo teatrale, e sto faticosamente ragionando su una nuova investigazione (questa volta meno privata) di Giorgia Cantini.
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