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La partita della vita
Valentina Viviani, Il Friuli.it, 07.11.2004
IlFriuli.it
Un pallone e uno spazio dove giocare. Questa è l’essenza del calcio. Un calcio senza scandali e scommesse, doping e miliardi. Un calcio semplicemente capace di creare una comunione tra le persone. E’ da una partita che prende avvio il nuovo romanzo di Alberto Garlini, “Fùtbol bailado”. Nella primavera del 1975, nei pressi di Mantova, Pasolini sta girando il suo ultimo film “Salò o le 120 giornate di Sodoma”. Poco distante, vicino a Parma, Bernardo Bertolucci lavora al film “Novecento”.
Due film e due messaggi molto diversi, tanto da creare attrito fra i due, un tempo amici. In occasione del compleanno di Bertolucci viene organizzata una partita di calcio tra le troupe, con la speranza di una riappacificazione. Nel campo della Cittadella, a Parma, si incontrano tutti i protagonisti della storia: oltre a Pasolini, che corre come un forsennato, e a Bertolucci, che si improvvisa allenatore, ci sono Alberto, un bambino spaventato dalla solitudine, Vincenzo, un terrorista nero con un incarico da portare a termine, e Francesco, un calciatore delle giovanili del Parma che gioca con una grazia dirompente. Da questo momento in poi le vicende dei personaggi rimarranno per sempre legate: quella partita alla Cittadella ha intrecciato in un unico nodo, di colpa e di speranza, le vite di quanti erano lì. “Fùtbol bailado” è un romanzo che emoziona e commuove, che avvince fin dalle prime pagine, immergendo il lettore in atmosfere intrise di ricordi. Lo stile è pulito, quasi cronachistico e i personaggi risultano particolarmente riusciti.

“Ho voluto intrecciare diverse storie, luoghi e situazioni, quasi in uno studio dell’Italia negli anni Settanta. - spiega l’autore, Alberto Garlini. - Era un periodo di cui ancora non si capisce niente, intriso di violenza e proiettato verso l’omologazione, a tutto danno di una morale etica di matrice contadina. Con le storie ho cercato di rendere le varie sfaccettature di quell’epoca. E su tutto campeggia la perdita dell’innocenza del nostro Paese, di cui Pasolini rappresenta l’emblema. Anche se personalmente non la condivido, in questo romanzo ho sposato la tesi di una morte volontaria del poeta. Il tradimento è il filo conduttore, un tradimento verso le persone, ma soprattutto verso i valori, morali, religiosi, etici che avevano sorretto la nostra società fino a quel momento. Ogni personaggio si porta dietro un grave senso di colpa, un senso di qualcosa di non risolto, che in fondo non è nient’altro che il nostro atteggiamento verso gli anni di piombo”.
Poi c’è il calcio - metafora della vita. “E’ quasi banale dirlo. Attraverso qualcosa di semplice, di immediato come una partita improvvisata, si può riscoprire una comunione che unisce anche sconosciuti, un rito liberatorio dagli infiniti vincoli della nostra società. E proprio il calciatore Francesco, che rinuncia - come il più famoso Santo - ai terreni vantaggi della vita mondana, è affidata la speranza. Perché per me essere cristiano significa avere un certo comportamento, rifarsi a un determinato sistema di valori che servono a vivere nel mondo, non semplicemente avere fede in un’entità metafisica. Il Cristianesimo ha in Cristo la voce degli oppressi, una forza capace di cambiare il mondo”.
Garlini, nato a Parma e friulano d’adozione, è un protagonista della scena culturale pordenonese. Infatti, oltre a essere uno dei curatori della manifestazione “Pordenonelegge” che da anni richiama nella città della destra Tagliamento migliaia di appassionati di letteratura, e ad aver vinto il “Premio Vigevano” con il romanzo “Una timida santità”, è vicino di casa di altri noti scrittori come Mauro Covacich e il caso letterario 2003, Tullio Avoledo.
“La “via degli scrittori” è stata un caso. - racconta Garlini - Ma non è un caso che a Pordenone ci siano fermenti letterari e culturali che portano a una ricca produzione. Oltre ad essere colleghi, con Covacich e Avoledo siamo amici, ci troviamo sia per parlare di letteratura, che di calcio. Inoltre collaboriamo per svariate iniziative, prima fra tutte ‘Pordenonelegge’. La vita culturale friulana, di Udine ad esempio, è invece più chiusa: gli spazi, le attività, il movimento culturale sono pochi e inaccessibile feudo di alcuni. Anche per quel che riguarda il friulano, lo trovo un discorso limitante. Va bene conservare, mantenere la lingua viva, ma il dibattito culturale non può affossarsi su questo tema. Oggi, nel 2004, pensare a un orizzonte culturale meno che europeo non potrà portare da nessuna parte”.
Anche l’ambiente della poesia in fondo è così. “Io - conclude - ho cominciato come poeta, ma oggi mi sento più romanziere. La poesia è autoreferenziale, ci si parla troppo addosso e, per tutta la vita, si approfondiscono tre-quattro cose. Nel romanzo, con la prosa, ho potuto invece scatenare la fantasia, collegare, allontanare, lanciarmi verso il mondo invece che guardarmi solo dentro. Per questo continuerò sulla via del romanzo: ne ho in mente uno ambientato a Grado, che poi sarebbe Marghera, sul tema dell’inquinamento di ambienti, corpi e anime”.
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Testo riprodotto unicamente a scopo informativo.

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