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Intervista a Laura Pugno |
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Gaja Cenciarelli, Leggendaria, 10.11.2004 |
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Laura Pugno, giovane talento della letteratura italiana, ha pubblicato poesie in numerose riviste (tra cui "L'immaginazione, "Poesia", "Minimum Fax", "Dàrsena", "Scarto minimo") e in raccolte collettive (L'opera comune, Atelier 1999, Dieci poeti italiani, Pendragon 2002). Nel 2001 ha raccolto le sue poesie, con alcune prose di Giulio Mozzi, in Tennis, Nuova Magenta Editrice. È traduttrice dall'inglese e dal francese. Nel 2002 ha pubblicato, per i tipi di Sironi, la raccolta di racconti Sleepwalking, accolto molto positivamente dalla critica. Due suoi racconti sono usciti a marzo di quest’anno nelle antologie di narrativa La qualità dell’aria (Minimum Fax) e Italiane 2004 (Baldini & Castaldi Dalai). È la storia di un'umanità che tenta – a fatica - di comprendere e di rapportarsi nella maniera più corretta al mondo e a una realtà che percepisce come frammentaria e destabilizzante. Malgrado le difficoltà di comunicazione che inevitabilmente i protagonisti incontrano, la scrittrice non nega e non trascura il potere della speranza. Leggendaria l'ha incontrata per voi.
1) Il suo modo di narrare è assai peculiare: in Sleepwalking non si fa uso del discorso diretto, e c'è uno spostamento continuo dei punti di vista (molto joyceano), tanto per citare due delle caratteristiche più evidenti. Anche grazie a questi tratti distintivi, le storie risultano di grande impatto, affascinanti per la loro aura di mistero, e certamente destinate a un pubblico di lettori a cui non piace una narrazione facile e scontata.
In effetti, nei miei racconti uso prevalentemente la terza persona, che trovo, per la narrativa, funzionale e più efficace con i lettori, una sorta di "persona letteraria". D'altra parte, per quanto riguarda la poesia – io comincio con la poesia – mi servo spesso della seconda persona singolare, di un "tu" che può rappresentare l'altro, il lettore, ma che – di contro - per il lettore potrei essere io. Ecco, mi auguro che in quel caso si verifichi una sorta di una corrispondenza, a tratti biunivoca. Tornando ai racconti: la terza persona è funzionale – a mio avviso – perché nelle mie storie compaiono dei personaggi che affrontano il mondo con la loro soggettività. Si stabilisce un contatto, quindi, tra questi e la realtà, e il discorso indiretto, la struttura – di non facile lettura – della frase – rappresenta in un certo senso un lento adattamento, il loro andare un po' a tentoni, prima che la realtà appaia loro in tutta la sua chiarezza.
2) Ha detto che la prima forma espressiva a cui si è dedicata è stata la poesia. Come mai ha scelto di sperimentare anche nella prosa narrativa?
Devo dire, per la precisione, che la poesia è stata protagonista assoluta della mia vita fino ai ventisette anni, più o meno. Poi per qualche anno, c’è stata una fase di silenzio, compensata dall’inizio dei miei lavori in prosa. Forse, con questa temporanea afasia, ha avuto a che vedere anche la mia posizione atipica rispetto alla generazione dei “poeti di trent’anni”. La mia non è una poesia autobiografica, e non rientra in un certo movimento di “ritorno all’ordine” intellettuale e spirituale. Lo dico con molta semplicità, perché anche in letteratura credo nella democrazia e nella libera scelta, in questo caso delle poetiche. Tornando al rapporto tra poesia e prosa, col tempo sono andate bilanciandosi, in parte anche integrandosi, e ora sono riuscita a raggiungere, più o meno, una sorta di equilibrio creativo. Quando ho iniziato a scrivere in prosa, mi sono resa conto che questa presentava, per me, due novità rispetto alla poesia: riuscivo ad avere un riscontro più "immediato" e semplice con i lettori, grazie alla sua maggiore diffusione, a cui si univa un motivo più personale: il fatto che la continuità in prosa è più possibile e più evidente che in poesia. Questo forse mi ha aiutato a interiorizzare una strategia di concentrazione, quella concentrazione che caratterizza chiunque si proponga di realizzare un determinato progetto narrativo e che quindi assume una "forma mentis" particolare, mantenendo alta e costante l'attenzione verso quel progetto.
3) Sleepwalking è una raccolta composta da tredici racconti "visionari", al confine tra sogno e realtà, tra frammenti che ricordano inquadrature cinematografiche e narrativa. La sua scrittura è stata definita "una videocamera ad alta definizione". C'è una relazione tra il cinema e le sue storie?
Ho sempre lavorato nell'ambito del cinema, sia come lettrice di sceneggiature, sia come redattrice di riviste e siti web di cinema: inevitabilmente ,questa esperienza ha influenzato le mie scelte letterarie. Ho girato anche dei corti, come fanno molti a venti-venticinque anni. Nel linguaggio narrativo, ho iniziato a sperimentare proprio all'indomani della mia frequentazione con il cinema.
4) Com'è nato questo libro? Ho notato che in fondo, pur essendo una raccolta, presenta più d'un fil rouge: il sogno come elemento unificatore, lo stile, l'utilizzo di alcuni filtri per rapportarsi alla realtà (come ad esempio l'acqua, una videocamera, o un registratore e una Polaroid) come accennavo poc'anzi – tanto per citare solo due caratteristiche tra le più evidenti. Insomma, in fin dei conti potrebbe essere considerato anche un romanzo...
Ho scritto i racconti della raccolta tra il 1997 e il 2000. Fatico quotidianamente a conquistare una regolarità nella scrittura ma, in compenso, mi rendo conto di quando maturano i tempi. Rifletto molto prima di mettere mano al testo: è per questo che la prima stesura di ciò che scrivo è quasi sempre molto vicina a quella definitiva. Quando ho raccolto i testi che compongono Sleepwalking, ho evidenziato le cuciture latenti nel materiale del testo. La mia scrittura è un esperimento al limite, un passaggio tra stati diversi. Sleepwalking è un luogo imprecisato in un tempo imprecisato in cui si slitta quasi inavvertitamente tra mondi differenti. Anche se rimango convinta che anche in questa metonimia fra mondi la storia rimane comunque profondamente presente. Cambiano costantemente gli oggetti della nostra quotidianità e del nostro tempo: questo modifica abitudini e contenuti. E influisce sui personaggi di un libro.
5) La maggioranza dei personaggi femminili (o meglio, protagoniste) ha un nome straniero. È un tratto distintivo molto suggestivo. Come mai ha scelto nomi come Beatriz ("L'oasi"), Luz e Agnes ("La perfezione"), Esmé ("I cani"), Sahe ("Take-away")?
Posso prendere in giro me stessa e definirlo un vezzo estetico? In parte c’entra il fatto di aver vissuto un po’ all’estero: sento meno il tasso di estraneità di certi nomi. Personaggi come questi, che sono più spesso donne - c'è una leggera predominanza di personaggi femminili nelle mie storie - portano il segno di un’alterità, sono quasi dei catalizzatori che aiutano gli altri personaggi a percepire la realtà che li circonda, e la modificazione che consegue a questa percezione. Poi, si può aggiungere che io vengo da una formazione femminista, e oggi, le donne sono tutt’ora portatrici di un’alterità. Cambiano i tempi e i modi, ma non credo che quella che un tempo era chiamata la “questione femminile” sia conclusa: sicuramente non fuori dall’Occidente, e questo lo sappiamo tutti.
6) Da cosa si sente attratta dopo Sleepwalking? Di cosa ha più bisogno? Di scrivere poesia o di proseguire nella narrativa?
Sia poesia che narrativa. Proprio in questi giorni sto prendendo i primi appunti per un romanzo breve: è una forma che non ho mai sperimentato ma che da qualche tempo mi attira. Inoltre, sono al lavoro su un libro di poesie che ha per titolo Il colore oro; e ho praticamente terminato un'altra raccolta, Islanda e altri racconti. Rispetto a Sleepwalking, Islanda è un libro che parla molto più chiaramente di questo mondo, in cui c’è più realtà e, contemporaneamente, è questa stessa realtà ad andare in fiamme. I nomi? Spesso si ripetono, come in un prisma dalle molte facce. Sarà un mondo in cui molte storie si unificheranno in una sola. |
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