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Non è il paradiso
Livio Romano, Quotidiano di Lecce, 20.01.2004
"Il gettone che le ragazze di una casa di tolleranza ricevevano dalla tenutaria ad ogni prestazione, agli effetti del conteggio". Così il Devoto-Oli definisce una "marchetta". E questo articolo non è una marchetta, un tributo di scuderia, bensì la recensione di un libro che racconta proprio del torbido mondo delle "marchette culturali", materia che ci è cara quanto mai.
Ancora una volta la collana Indicativo Presente di Sironi guidata da Giulio Mozzi ci regala un libro che fotografa, secondo manifesto letterario, un pezzo dell’Italia odierna. "Non è il paradiso", di Antonella Cilento, classe 1970, già autrice de "Il cielo capovolto" (Avagliano, 2000) e "Una lunga notte" (Guanda, 2002), sceneggiatrice radiofonica e animatrice culturale a tutto tondo, ci regala un ritratto impietoso, ironico, sacrilego del sottobosco culturale della città di Napoli. Delle sue "consorterie", delle miserie e dei rari momenti di splendore di tutto il carrozzone che si muove nel mondo della cultura a Napoli e che conta, fra i ranghi, giornalisti "abusivi" (i ragazzi che collaborano quasi a gratis per le testate giornalistiche in attesa di superare l’esame da pubblicista), artisti d’ogni risma, professionisti del sermone a pagamento, editori senza scrupoli, organizzatori di eventi culturali e di convegni para letterari. Quella che la Cilento ci racconta è una classica storia "glocal" che, attraverso un plot esile eppure efficacissimo, fa avventurare il lettore in questo fetido ambiente popolato da ancor più sgradevoli figuri. Noi leggiamo di Napoli e ci riconosciamo. Perché in Italia, e soprattutto al meridione, far cultura comporta inevitabilmente venire a contatto con gli imprenditori della parola, con i cialtroni a tariffa, con i dandy di quarant’anni che –sussidiati ad libitum dalla pensione di mammà- vanno in giro per conferenze e mostre, per concerti e presentazioni sfoggiando la loro eloquenza e il loro guardaroba finto-alternativo parodiato dai registi della nouvelle vague.
Insomma, una storia che ci interessa da vicino. Perché anche la Puglia, anche il Salento sono forniti di una classe intellettuale da operetta come quella che ci descrive con arguzia Antonella Cilento. Paradossalmente, anzi, diremmo che chi vuol vivere della sua erudizione, e non ha gli agganci giusti per entrare nel rutilante mondo dell’Accademia, questo solo può fare: prostituirsi al miglior offerente. Un popolo di free lance della chiacchiera. Una conferenza qua, una prefazione lì, e a fine mese si raggranella quel minimo per pagarsi la birra nei pub e il maglioncino alla Benetton. L’alternativa è andare via. Ho conosciuto a Milano un trentacinquenne di ottima cultura e rara perspicacia che, dopo aver tentato per un paio d’anni di organizzare "eventi culturali" verso il Capo Leuca, ha capito che doveva scegliersi la meta a suo dire "più lontana possibile dalla ripugnante retorica della salentinità". E se ne è andato. Senza rimpianti. Antonella Cilento, invece, antinapoletana sviscerata, nella capitale borbonica ha deciso di rimanere. Tenendo corsi di scrittura creativa, rendendosi catalizzatrice di tutti i nuovi fervori che nell’ultimo decennio hanno attraversato la cultura giovanile napoletana, un mondo, dunque, come si dice, che conosce bene. Questi editori che fanno i soldi sulla infinita vanità delle migliaia di grafomani questuanti che ogni giorno chiedono che sia esaminato il loro amato manoscritto. Non c’è nulla di male nel contribuire alle spese di stampa se l’editore è stimato e rispettato nella società letteraria. Ma se a chiedere (tanti, tantissimi) soldi sono impresari che stampano il libro e poi lo fanno recensire e presentare da qualche giovane umanista prezzolato (ahinoi, conosciamo anche il prezzo inverecondo di quelle prestazioni): allora la faccenda sconfina nella commedia dell’arte, e povero a chi ne viene inghiottito.
Si parla spesso della fuga di cervelli riferendosi ai luminari della biologia e della medicina. Il merito di questo libro è di mettere in guardia contro un’altra fuga in atto della quale nessuno sembra accorgersi. Quella dei giovani intellettuali, qualunque sia il campo in cui esercitiino il loro sapere.
Occorre prenderne coscienza. Come c’ha detto il poeta Elio Corianò tempo fa: "Dobbiamo iniziare a far capire che come gli avvocati e gli ingegneri, anche i nostri interventi hanno un prezzo che dev’essere decoroso e permettere di essere liberi". A Londra il più scalcinato critico cinematografico che tiene un paio di rubriche sui tabloid distribuiti gratis alla stazione può condurre una vita dignitosa. Qui da noi se sei fortunato il proprietario della testata ti regala un paio di litri di vino a Natale. La civiltà, ce lo ricorda Antonella Cilento in questo libro brillante e iconoclasta, scritto con una lingua che risente di "tutta la migliore scrittura che gira intorno", passa anche attraverso questa consapevolezza.
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Testo riprodotto unicamente a scopo informativo.

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