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Luca Masali: il piacere dell'avventura |
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Aurelio Pasini, Mucchio selvaggio, 10.09.2004 |
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Dopo essersi fatto conoscere con due romanzi di ambito storico-fantascientifico come I biplani di D Annunzio (vincitore del premio Urania 1995) e La perla alla fine del mondo, con l’ultimo, L inglesina in soffitta Luca Masali sembra avere almeno per il momento abbandonato la sci-fi più propriamente detta in favore dell avventura in senso lato. Una scelta coraggiosa,specie di questi tempi,ma che alla luce dei risultati ottenuti si è senz altro rivelata (con)vincente |
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L’inglesina in soffitta sembra avere un taglio diverso rispetto ai tuoi romanzi precedenti,senza contare che è anche parecchio più corposo.
In cosa è cambiato il tuo approccio alla scrittura al momento della sua realizzazione?
Ho sempre avuto interesse per la letteratura di avventura piuttosto che per la fantascienza,che per me ha rappresentato più che altro un occasione,visto che da ragazzo la leggevo e il premio Urania mi ha sempre intrigato.Si tratta di un genere non propriamente mio, ma mi ha fatto gioco servirmene per i miei primi due libri,che avevano bisogno di un respiro temporale particolarmente ampio, visto che uno parlava della formazione dell Europa e l altro dell incomunicabilità fra Oriente e Occidente. Con L'inglesina in soffitta, invece,ho voluto tentare un operazione diversa, quella di rovesciare l’idea stessa del giallo di provincia;così facendo, ho creato quello che mi piace chiamare il "village punk".Mi spiego meglio:solitamente nei romanzi di questo tipo le cose nascono e muoiono nel paesello in cui ha luogo l azione,mentre io volevo far sì che lo sfondo, nello specifico una piccola località sul lago di Como, potesse interagire con una realtà a livello mondiale.
Hai dovuto svolgere ricerche particolari per scriverlo?
Non più di tanto, perché fin da bambino ho sentito parlare molto di questo Marchion, il protagonista del libro,visto che era un mio bisnonno, e il paese in cui si svolge il tutto è quello di mia nonna.Per il resto,è stato necessario un minimo di documentazione sulla storia e sulle barche,ma nel complesso molto meno di quella che mi è servita per I biplani o per La perla alla fine del mondo.
A ogni modo tutti e tre i libri sono ambientati in un arco di tempo compreso fra gli anni 10 e 20 del secolo scorso. Due decenni che, evidentemente, sono particolarmente in sintonia con il tuo immaginario.
Diciamo che si tratta di un periodo che trovo affascinante, vicino ma anche incredibilmente lontano da noi. Se, ovviamente,il vero cambiamento c è stato con la Seconda Guerra Mondiale, a me interessa indagare su quello che è successo prima, su come si è arrivati a questa idea di modernità. Un operazione che mi è servita soprattutto per la fantascienza,che secondo me è anzitutto un esplorazione letteraria del processo di divenire,di formazione della contemporaneità. Ora, tutto questo naturalmente può essere traslato in qualsiasi epoca storica, ma dal mio punto di vista il momento di passaggio verso la nostra modernità è quello situato fra le due guerre.
Prima accennavi alla tradizione dei romanzi di avventura...
Nonostante in Italia abbiamo avuto romanzieri incredibili, da Salgari in poi, si tratta di un genere che da tempo viene tenuto ai margini,se possibile ancor più della fantascienza,e questo è un vero peccato perché rischiamo di non valorizzare a dovere una tradizione che è enorme. Eppure è proprio qui che,sotto la vernice dello sguardo,si possono andare a pescare temi di interesse generale:se, per esempio,nel giallo,classico tutto si risolve nell evento criminoso in sé,nel romanzo di avventura uno può mettere il suo protagonista di fronte alle sfide che gli porta la società moderna, e questa è una potenzialità incredibile che per non viene sfruttata.
Trovi quindi che in Italia essere uno scrittore "di genere"possa essere in una certa misura penalizzante?
Questo non lo so, perché tutto sommato io sono una figura marginale rispetto a quello che è il dibattito sulla cultura. L’impressione che ho,comunque, è che vi siano alcuni generi che sono diventati accettabili, come ad esempio il noir, ma prova a pensare a un autore come Stefano Di Marino, che i lettori di Segretissimo hanno sicuramente letto ma di cui non conoscono il nome, perché si firma con sette od otto pseudonimi differenti. Spesso, quindi, si tratta di produzioni destinate esclusivamente a un entertainment da edicola, di poco conto. Poi, certo, ci sono quelli come Valerio Evangelisti o Nicoletta Vallorani, che sono riusciti a rendere nobile il genere, ma sono molto pochi e ancora per addetti ai lavori, devono ancora raggiungere il grande pubblico.
Fra l’altro, i tuoi due primi lavori sono usciti proprio per una collana da edicola come Urania, il che è certamente un onore, ma d’altro canto ne rende la vita editoriale brevissima.
Questo è successo solo in Italia, visto che in altri paesi europei come la Francia e la Spagna sono stati pubblicati in forme, diciamo così,più tradizionali.Sicuramente la diffusione in edicola permette una circolazione di copie che altrimenti un autore come me difficilmente potrebbe raggiungere in libreria,sta di fatto per che dopo poco tempo tutto va perduto. Per questo motivo, forzando un po la mano ho deciso di aggirare il problema rendendo entrambi i romanzi disponibili per il download gratuito sul mio sito Internet (www.masali.com).
C’è però da dire che un paio d’anni fa I biplani di D Annunzio è stato ristampato in veste "ufficiale" da Todaro. Che mi dici, invece, de La perla alla fine del mondo?
Per quello, purtroppo, non se ne parla, almeno non in Italia, perché qui da noi la fantascienza spesso nasce e muore con Uranio,quindi ritengo che non ci sia un interesse editoriale per una riproposta di questo tipo.
Toglimi una curiosità:come è stata accolta la scelta di far diventare Gabriele D Annunzio un tuo personaggio?
Mi ha portato un grande amore da parte di tutta una serie di fascistelli, gente che ha cercato di coinvolgermi su fanzine e per iniziative incredibili. Evidentemente non avevano letto il libro,perché altrimenti avrebbero avuto reazioni diverse.
Del resto,la mia formazione politica è di tutt altro tipo.E comunque stato interessante vedere quanto la sua sola presenza abbia scatenato reazioni di questo genere.
Come mai a un certo punto (nel racconto La balena del cielo, contenuto nella raccolta Tutti i denti del mostro sono perfetti) hai deciso di fare morire Matteo Campini, il protagonista dei primi due romanzi?
Diciamo che non potevo più portarlo avanti.Più che un eroe era un osservatore un po imbranato e pasticcione di ci che gli succedeva intorno. Un uomo comune, sebbene facesse un mestiere affascinante come quello dell aviatore. Ne La perla alla fine del mondo mi faceva gioco per affrontare il tema dell incomunicabilità,visto che si trova ad attraversare il deserto in compagnia di una persona appartenente a una cultura diversa quella islamica, oltretutto nel futuro e non riesce a intuirlo fino alla fine, mentre ne I biplani di D Annunzio rappresentava un uomo comune che a un certo punto si rende conto della necessità di democratizzare l’Austria-Ungheria invece che distruggerla. In entrambi i casi mi era utile un tonto, ma non è che potesse fare molto di più, due romanzi bastano.
E’ un pò l’effetto che suscita Mike Bongiorno sul pubblico, dal momento che a
tutti piace vedere uno più tonto di loro. Che poi senz altro lo stesso Bongiorno lo sa benissimo e ci gioca parecchio,come forse faceva anche Campini, ma questo non lo sapremo mai. Quello che vediamo è un tonto che va in giro per il mondo e, soprattutto, per il tempo, e combina casini inenarrabili perché si innamora di donne che non potrà mai amare davvero.
La figura del pilota d’aereo compare anche ne L’inglesina in soffitta, seppure solo in poche pagine, divenendo cos un elemento di congiunzione del tuo percorso da romanziere.
Per me la letteratura è come un gioco, e siccome il mio gioco preferito è far volare gli aeroplani radiocomandati, alla fine in qualche modo nei miei libri gli aerei ci finiscono sempre. L’idea de L‘inglesina in soffitta mi è venuta guardando la penisola di Bellagio dalla finestra di casa di mia nonna, e fin da subito ho saputo che uno dei protagonisti sarebbe stato questo mio bisnonno che aveva costruito una barca in soffitta e che, a un certo punto, ci sarebbe stato un aereo. Il resto è venuto fuori col tempo.
A proposito, come funziona il tuo metodo di lavoro? Non sei certo uno di quelli che sfornano un libro all anno...
Probabilmente sono lo scrittore più lento del mondo.Sono pigro e ho bisogno di lasciare decantare le cose per almeno un anno.Inoltre,quando inizio a scrivere, non so mai come andrà a finire la mia storia:l’idea di inserire il personaggio di D’Annunzio ne I biplani di D Annunzio è arrivata quando ero già a metà strada, e ne La perla alla fine del mondo la vera natura della protagonista femminile mi è venuta fuori solo dopo parecchio tempo.
La presenza stessa di Majorana ne L’inglesina in soffitta è nata quasi per caso, perché in quel periodo stavo rileggendo Sciascia. Questo mio modo sconclusionato di lavorare senza un canovaccio,lasciando che i personaggi si sbroglino da soli le situazioni che si parano loro davanti,richiede per forza di cose parecchio tempo,anche se questa volta ci ho messo meno tempo rispetto alle altre due.Che poi, in realtà, L inglesina...non è il mio terzo romanzo, ma il quarto:prima, infatti,avevo iniziato a scrivere una storia incentrata su Cesare Lombroso alle prese con l ingegneria genetica, poi mi si è materializzata davanti questa immagine di un aereo che cade nel lago di Como e ho messo Lombroso da parte. Prima o poi, comunque, finirà anche quello..
Un ultima domanda,inevitabile: che rapporto hai con la musica?
Sono troppo vecchio, sono rimasto legato ai cantautori degli anni 70, e in particolare a Roberto Vecchioni. Mi piace ascoltare musica intelligente, ma al momento non ce n è tanta in giro, quindi mi sto rinchiudendo nel passato.Tuttavia ho voglia di sperimentare cose nuove, non posso credere che la musica di oggi sia solo il pop terrificante che si sente alla radio
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