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"Il busto di Lenin" parte dalla svolta di Occhetto
Valentina Desalvo, Repubblica ed. Bologna, 06.07.2004
L´ultimo romanzo di Caliceti racconta i tormenti di un gruppo di anziani compagni a Cavriago

Libero, dalla via Emilia all´Est vita agra di un comunista dopo l´89
«Io non mi vergognerò mai di essere comunista, compagni! Io mi vergogno solo della vostra vergogna». E´ il manifesto di Libero, rosso pensionato di Cavriago, protagonista dell´ultimo romanzo di Giuseppe Caliceti, «Il busto di Lenin» (Sironi, 12 euro). Si svolge dopo il crollo del muro di Berlino e all´indomani della svolta occhettiana della Bolognina, tra l´89 e il ´91: mai più Pci, allora. Ma per Libero e i suoi compagni, con nomi che evocano una storia secolare - Spartaco, Pravda e Ivan -, ci sono ancora molte battaglie da combattere.
Difendere il busto di Lenin ad esempio, celebre monumento della piazza di Cavriago (in provincia di Reggio Emilia) dalle mille insidie di un mondo che, ai loro occhi, si sta ribaltando. Il romanzo è anche un trattato di antropologia emiliana, di quella stirpe "comunista" cresciuta tra Resistenza e Primo Maggio, da lotte operaie e sogni rivoluzionari. Utopie ma anche un modo di vivere, visto che Libero ripete e cita - nei mesi del tormentato addio alla bandiera di una vita -, tutti quei pensieri per gli sfruttati che riassumevano la sua scelta esistenziale. Attorno a lui tutto sta cambiando: ci sono i consiglieri del Psi che vogliono spostare il busto, quelli della Dc che vogliono toglierlo, molti curiosi che arrivano per farsi fare l´ultima foto accanto alla testa del padre dell´Ottobre rosso del ´17.
Ma ci sono anche i compagni che svoltano con Occhetto, che accettano il cambio del nome (il Pds), che non sono d´accordo nel dare l´area della Feste dell´Unità anche agli scissionisti di Rifondazione. Così il bel romanzo di Caliceti (che insieme all´attività di scrittore cura anche un lavoro di scouting sui nuovi narratori, da Ricercare alle raccolte con Giulio Mozzi) è l´occasione per ritrovare una storia, tante storie. Di personaggi d´epoca, come il manager che portava i cantanti alle Feste del Pci, da Rita Pavone a Ornella Vanoni, con tappe anche nei paesi dell´Est (musicali aiuti fraterni) fino a quelli della rivista «Il Bolscevico» che stampano il calendario rosso con le date di nascita e di morte di Mao, Marx e della Comune di Parigi. Sembra archeologia davanti al nuovo che avanza, a chi cambia fede, a chi, nelle sezioni e nel partito abbraccia immediatamente «il fallimento dell´Urss e i crimini di quel passato». Così Libero e i suoi amici non possono che diventare i custodi di speranze e nostalgie che il busto di Lenin, con la sua ostinata presenza, pare incarnare. E quello con Libero è - nonostante lo spirito del tempo -, un incontro delicato. Perché, senza sentimentalismo, rimette in circolo le passioni, i sogni, le lotte di una generazione. Che, al di là degli orrori del Partito-Stato, ha pensato, singolarmente e politicamente, che valesse la pena stare dalla parte dei vinti. Chiudendo la propria vita da pensionato rosso con una festa in piazza il 31 dicembre del ´91. Belli, ciao. Anche così potrebbe salutare Libero.
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Testo riprodotto unicamente a scopo informativo.

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