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La Coop dopo il blog
Giovanni Choukhadarian, L'Indice dei libri del mese, 01.08.2004
Giovani scrittori crescono. Fino a questo romanzo, Giuseppe Caliceti era il narratore dei suini, cioè dei tardo adolescenti che vivono per la discoteca e hanno come obiettivo lo sballo e il rimorchio delle vagine, cioè delle ragazze. Sembra una cosa da niente, ma è a Caliceti che si deve forse l'allegoria più potente della letteratura italiana di questi anni. Ne era rimasto impressionato anche un lettore severo come Edoardo Sanguineti che, nella quarta di copertina di "Battito animale" (2001), aveva identificato la discoteca con la società italiana. Era forse vero, e si può forse aggiungere che, alla dimensione simbolica, Caliceti sapeva unirne una sociologica: la discoteca come istituzione repressiva, universo concentrazionario senza possibilità di uscita. Non era magari una'nticipazione del tragico "Eccetera" (viaggio notturno di quattro giovani, Einaudi, 2002) di Emilio Tadini, ma certo i punti di contatto erano evidenti. Colpiva, nelle prime opere di Caliceti, soprattutto la reinvenzione di un gergo giovanilistico che abbondava magari in parolacce, ma sembrava del tutto verosimile.

Era poi seguito un libro costruito con gli interventi di Caliceti sul sito www.emilianet.it: senza allora saperlo, lo scrittore aveva inaugurato la moda dei blog, che oggi imperversano su Internet.

Ora Caliceti si confronta con la forma-romanzo più tradizionale, e il risultato è eccellente. C'è intanto una bella storia, che al suo autore, con ogni evidenza, piace molto. E' quella di un gruppo di pensionati comunisti di Cavriago, paesino nei pressi di Reggio Emilia, che assistono sgomenti ma combattivi alle grandi trasformazioni politiche e onomastiche che avvengono tra il 1989 e il 1991. Tra loro, spicca la figura di Libero, che si elegge a custode del busto di Lenin nella piazza del paese, e coinvolge anche gli altri suoi amici.

A rileggere ora i patimenti di Achille Occhetto, le diatribe sul nome da dare al nuovo partito, le resistenze di chi non vuole abbandonare lo storico simbolo della falce e martello, si direbbe che questo sia quasi un romanzo storico. Non lo è in senso stretto, ma certo del romanzo ha la tenuta narrativa impeccabile e la lingua, veloce, molto efficace soprattutto nei dialoghi.

E' anche un romanzo comico, non ironico, perché in Libero c'è forse, con ogni cautela, anche un po' di Caliceti. La quarta di copertina suggerisce il nome di Guareschi. Può darsi, ma Caliceti è scrittore ben più fine di Guareschi e in ogni caso le posizioni ideologiche sono agli opposti. Perché in questo "Busto di Lenin" l'ideologia ha una sua importanza. Libero-Caliceti non crede al suo superamento. Non è attaccato al comunismo come relitto più o meno nostalgico, ma non capisce come sia possibile che, anche alla Coop, per comprare non sia più necessario lavorare: basta pagare.

A un certo punto della narrazione compaiono in questo libro anche i giovani. Qui è straordinaria l'abilità di Caliceti nella costruzione di un rapporto di amicizia prima diffidente, poi collaborativa, infine decisamente creativa fra Libero e i giovanotti con la maglietta di Che Guevara, che stampano "Il Bolscevico".

Nella noiosa, improduttiva polemica sui romanzi italiani che non racconterebbero la realtà, Caliceti non è intervenuto. In parte, viene da malignare, perché ha un mestiere che lo occupa tutto il giorno (è maestro elementare). Forse, ma si direbbe di sicuro, Caliceti non è tipo da polemiche. Lui le storie da raccontare ce le ha e le racconta molto bene, come quasi nessun altro della sua generazione.
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Testo riprodotto unicamente a scopo informativo.

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