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Masali, l'avventura e l'immaginario |
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Andrea Bagatta, Il Cittadino di Lodi, 31.07.2004 |
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Sironi pubblica "L'inglesina in soffitta", un noir intrigante che pesca nel mondo della fantasia.
Lo scrittore che risiede a Paullo ci parla del suo nuovo romanzo |
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PAULLO. È di queste ultime settimane
l’uscita in libreria dell’atteso, terzo
romanzo di Luca Masali. Personaggio
imprevedibile e scrittore vero,
Luca Masali, classe ’63, originario di
Torino, a metà degli anni novanta è
arrivato a Milano per seguire la carriera
giornalistic
a. Da u n pai o
d’anni, però, stufo
«degli orizzont
i c h i u si de l l a
pianta circolare
milanese», si è
trasferito a Paullo,
dove abita in
compagnia della
fidanzata e di un
pesce rosso. Nome
poco conosciuto
al pubblico
generalista, Masal
i è autore di
culto nell’ambito
della fantascienza,
anche se con il
suo ultimo libro,
L’inglesina in soffitta,
abbandona
le strade del fantastico
per addentrarsi
nel genere
giallo con abbondanti
dosi di spy-story.
«In realtà le etichette le appiccicano
gli editori» precisa subito
l’ autore. «Io ho sempre scritto romanzi
d’avventura, genere quanto
mai negletto in Italia. La storia che
si vuole raccontare sceglie da sola
quale immaginario vuol solleticare»
Resta il fatto che i libri precedenti
erano chiaramente di fantascienza,
o forse meglio fanta-storia.
«Nei primi romanzi ho trattato temi
imponenti, come l’unificazione europea
e l’ incomunicabilità tra Occidente
e universo islamico. Per questo
ho dovuto giocare con le infinite
possibilità della storia non accaduta,
del “che cosa sarebbe successo se…”:
che cosa sarebbe successo se la prima
guerra mondiale fosse finita in
pareggio e l’Austria non fosse stata
smembrata (nel primo libro, I biplani
di D’ Annunzio)? l’Isl am come
avrebbe potuto fare i conti con la modernità
senza il fardello della colonizzazione
europea (nel secondo libro,
La perla alla fine del mondo)?
Per riuscire a dipingere una tela così
grande ho dovuto saccheggiare l’immaginario
della fantascienza. Il tema
dell’Inglesina in soffitta è del tutto
diverso, così di fantascienza non
ce n’è neppure una goccia».
L’ambientazione tra barche e aerei,
il gusto dei particolari, la satira
antiregime: anche ne L’Inglesina
in soffitta ci sono molti ele-menti
tipici del tuo mondo.
«Il romanzo appartiene a un genere
l etterario del tutto nuovo, che io
chiamo «village-punk»
e che è figlio
della filosofia
no-global «pensa
globalmente, agisci
localmente».
Ne l r o ma n z o ,
quel l a che sembra
in apparenza
una piccol a storia
di provincia –
una lite tra contrabbandieri
sfo-ciata
in omicidio
– in realtà nasconde
un intrigo
che be n presto
varca i confini
del paesino lacu-stre
in cui la vicenda
è ambientata:
la storia si
carica di tinte da
noir, si contamina
con la commedia
e la tragedia,
in un caleidoscopio
dove tutto si rimescola. Tra citazioni
di Sciascia e dei film di Moana
Pozzi, di Manzoni e delle canzoni di
Van De Sfroos, anche i personaggi si
trasfigurano: un caso emblematico è
la bambinaia Charlotte McNeal (la
protagonista femminile). Si rivela
sempre di più essere il frutto di ingegneria
genetica letteraria, un personaggio
nato dalla fusione tra Mary
Poppins e Tremalnaik. Naturalmente
la Mary Poppins inquietante e affascinante
del romanzo di Pamela
Lyndon Travers, non la stucchevole
rivisitazione del film di Disney».
Fai un uso della lingua quasi spudorato,
tra inserzioni di dialetto
laghée e inglese. Sono un vezzo
d’autore o sono essenziali allo sviluppo
della narrazione?
«L’ inglesina in soffitta offre molte
chiavi di lettura al lettore attento.
Chi si vuole solo godere il libro sulla
spiaggia, e fa benissimo, si divertirà
con una commedia frizzante che si
interseca con una spy- story movimentata.
Chi invece preferisce gustarsi
gli aspetti meno ovvi, ci troverà
molti altri spunti. Tra questi, l’incontro
tra civiltà: il mondo contadino
dei laghée lombardi che deve fare
i conti con l’aristocrazia inglese, per
esempio. E trovano un terreno comune
solo nel rispetto delle rispettive
culture, e quindi anche dei diversi
modi di parlare».
Fin dalle prime battute sembra
un’opera più matura rispetto alle
precedenti. Da che cosa dipende?
Da te, dalla storia, dal genere o da
altro?
«Secondo me dipende dal fatto che i
miei primi romanzi erano di fantascienza,
genere che da noi non è considerato
seriamente da nessuno.
Quindi sono stati etichettati frettolosamente come robetta da edicola, e
sono morti lì. In realtà, chi si è divertito
a leggere L’inglesina in soffitta, si
divertirebbe altrettanto a leggere I
biplani di D’Annunzio o La perla alla
fine del mondo. Certo, a forza di scrivere
si diventa più bravi, ci mancherebbe;
quindi è abbastanza naturale
che l’ultimo romanzo sia più bello
del precedente. Quando non sarà più
così, sarà venuto il momento di appendere
Word al chiodo e dedicarsi
alle bocce».
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