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«Racconto il territorio per farvi guardare dove non si vede niente»
Fiorella Girardo, Corriere del Veneto, 27.04.2004
Mozzi, lo sguardo dello scrittore sui nostri luoghi
Non è un libro di urbanistica, ma descrive la pianta di Lignano, non è un'appendice ai regolamenti comunali ma discute degli "edifici incongrui" che dovrebbero essere eliminati per ripristinare l'equilibrio in certe zone dell'Emilia Romagna. Sotto i cieli d'Italia è innanzitutto un invito a «vedere» le piazze, le case, le strade che abitiamo e frequentiamo abitualmente. Dove «vedere» significa osservare elementi e situazioni che stanno sotto i nostri occhi e che non notiamo per abitudine e disinteresse. Il libro, in uscita domani, è scritto a più mani, un lavoro di gruppo che parte a monte.
Firmato dal padovano Giulio Mozzi e dal torinese Dario Voltolini, vede la partecipazione anche del mestrino Massimiliano Nuzzolo, ma soprattutto la volontà da parte di alcuni committenti di far raccontare pezzi di territorio a scrittori. La particolarità del libro è che nasce quasi tutto su commissione.

Giulio Mozzi, lei è anche il curatore di "indicativo presente" la collana di Sironi in cui è pubblicato il libro. Come è nata l'idea?
«Il libro nasce da ragioni banali. Mi sono accorto di aver accumulato negli anni un certo numero di testi che hanno la funzione di raccontare il territorio a chi ci va e a chi ci resta, nello stesso tempo Dario Voltolini a Torino fa la stessa cosa anche se di carattere più turistico promozionale e così decidiamo di dare una forma a questo materiale. A me interessava fare un libro con più di un autore perché questi sono lavori di équipe, andare in giro in compagnia ti permette di vedere molte più cose di quante non vedresti da solo.»

Il titolo sembra quasi una provocazione, visto che descrivete anche tralicci dell'energia elettrica o pavimenti del supermercato.
«Di fatto in molti pezzi di questo libro c'è una specie di iper-attenzione per quello che c'è in alto e in basso, saltando quello che è in mezzo e questo è curioso: vuol dire che è un modo di percepire il territorio che tende quasi a fare delle radiografie.»

Il Nordest che avete descritto è composto da una rete di fili che uniscono un traliccio all'altro, un lampione a quello successivo, passando sopra la nsotra testa e ingabbiandoci a nostra insaputa.
«Quando si parla di reti di solito l'interesse va verso i nodi della rete, ma gli spazi che vengono circoscritti dai fili, sono come i luoghi che stanno in mezzo agli anelli degli svincoli autostradali. Vi regna la desolazione. Sono quei luoghi che essendo un millimetro al di là da dove scorrono le cose, stanno fuori e non si vedono.»

Avete percorso a piedi la strada che da Ronchi dei Legionari porta a Monfalcone, scattando alcune foto, pubblicate nel libro, dove non si vede quasi nulla. Fili della luce, cielo, nuvole. Sono i buchi della rete?
«L'osservatore comune di fronte a una certa foto va in ansia perché non c'è nulla dentro. L'esercizio di guardare dove non si vede niente, invece, è un esercizio importante.»

Alcuni racconti sono molto curiosi e invitanti come quello scritto da lei sulla pianta di Lignano o quello di Voltolini sul delta del Po, altri spiazzano il lettore descrivendo minutamente i pavimenti di un supermercato o elencando i rifiuti accumulati nel tempo in un orto di Chioggia dove dovrebbe sorgere il nuovo cimitero.
«A me queste cose interessano e mi sembrano importanti. In un suo articolo sull'Espresso di qualche mese fa, lo scrittore Mauro Covacich si chiede perché gli autori italiani non siano in grado di raccontare i problemi e la realtà del Paese, concludendo con la battuta che alcuni si sono ridotti a scrivere di paesaggi. Io dico, invece, che il paesaggio è la questione più grossa che deve gestire il Governo di questo stato. Allo Iuav di Venezia alleviamo le migliori menti della nazione a osservare il paesaggio e giudichiamo che non sia interessante un libro che parla del territorio? Il paesaggio è il nostro più grande bene per cui se uno ostenta disinteresse verso il paesaggio non capisce. Non c'è più nulla di naturale da queste parti, è tutto sotto la nostra responsabilità, non c'è più un filo d'erba che sia nato per conto suo in tutta la Pianura Padana e l'erba che cresce tra gli svincoli autostradali vale quanto gli alberi in campo Santa Margherita a Venezia che sono voluti e curati. Per cui smettetela di guardare altrove e guardate dove posate i piedi.»

Nella scelta dei libri che pubblica per Sironi segue queste indicazioni? Nella presentazione della collana si dice che si tratta di "libri forti" che raccontano l'Italia com'è.
Libro forte è un termine molto generico per dire che quando uno lo ha finito non transita innocuamente allo scaffale, ma rimane qualcosa che gira per la testa che eventualmente insegna qualcosa… Il nostro è un lavoro di ricerca e nella collana c'è di tutto, ma non mi sembra siano libri che lasciano indifferenti.»

La prossima scommessa?
«La scommessa più grossa è il libro di Giorgio Falco che si chiama Pausa caffè, un libro che chiunque lavori dovrebbe leggere. Parla del lavoro in modo scientifico e crudele: sono brevi testi, delle anatomie del lavoro e delle relazioni che si creano nell'ambiente lavorativo. »
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Testo riprodotto unicamente a scopo informativo.

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