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I bolscevichi in pensione
Nicola Adragna, Stilos, settimanale letterario del quotidiano "La Sicilia", 20.05.2005
Cinque comunisti non si rassegnano al processo revisionistico del Pci, al cambio del nome e di indirizzo ideologico, e concentrano i loro sforzi nel mantenere integro e manutenere un monumento a Lenin che in realtà ancora oggi esiste a Cavriago, vicino a Reggio Emilia, la città di Giuseppe Caliceti. Il busto al leader dei bolscevichi diventa così un simulacro, uno stargate che conduce al proprio passato, una bandiera che garrendo giustifica un'intera vita dedicata a un ideale politico. "Il busto di Lenin" (Sironi, pp.150, 12,50 euro) è un romanzo sulla vecchiaia, sul tempo che cambia il mondo, sul trasformismo politico, sul gioco eracliteo dei mutamenti permanenti, ma anche sulla difficile convivenza di generazioni diverse e successive e soprattutto sul rimpianto e la nostalgia. Scritto senza concessioni al patetico, il romanzo di Caliceti offre una visione originale dei sentimenti che una generazione di partigiani e di comunisti nutrirono convinti di dover cambiare per semprem il mondo e determinati a farlo contro l'usura del tempo e i rivolgimenti politico-sociali. Con Caliceti Stilos ha parlato del libro.
Libero, "il custode del busto di Lenin", è l'ultimo comunista: il mondo cambia attorno a lui che rimane immoto, radicato nella sua fede politica. La sua storia ha un fondo di realtà, ma Libero è mai esistito?
Libero Ferrarini è un nome e un personaggio inventato, ma come gli altri cinque personaggi del libro prende spunto da persone realmente esistite a Cavriago e dintorni, che ho conosciuto personalmente e ho iniziato a frequentare fino alla loro morte, avvenuta alcuni anni fa, proprio con l'intento di scrivere questo libro. Mi dispiace che non ci siano più, mi sarebbe piaciuto farglielo leggere.

Libero ha una sua visione del mondo che mal si adatta a quella moderna. Sembra un uomo di altri tempi, che ha però idee d'avanguardia: non è geloso del nuovo marito della ex moglie, si intrattiene con i giovani e prova a capirli, continua a fare politica andando pure in Brasile… Sembra che abbia voluto plasmare il migliore dei comunisti possibili, un ideale di uomo, un modello.
Sinceramente a me pare una persona piuttosto normale, con le sue ossessioni e i suoi timori, le sue speranze e la sua malattia. La sua storia e la sua vita, insomma. Comunque qui in Emilia, almeno fino a qualche decennio fa, avrebbe rappresentato tutt'altro che un modello o una eccezione. Il modello magari è "Il busto di Lenin" che c'è nella piazza, Libero è tutt'altro.

Il suo libro appare per certi versi nostalgico: evoca una stagione di forti ideali e di realtà riconoscibili. Un mondo che sembrava non dovesse mai finire. Visto così, è un atto di sconfessione al "nuovo che è avanzato".
Ogni lettore può leggerci quello che vuole e che riesce a leggerci, ed è giusto così. Io quello che avevo da dire l'ho scritto. Non credo di avere molto da aggiungere. Per me racconta soprattutto una storia che mi è piaciuto raccontare perchè mi ha commosso: per me è questa la cosa più importante. Racconta poi di una forte crisi di identità personale e credo anche collettiva, almeno per molte persone uscite dalla Resistenza. E contemporaneamente traspare un senso di delusione e amarezza per come è stata spesso sconfessata la propria storia, da parte di amministratori, politici e intellettuali che devono buona parte della loro fortuna e della loro attuale posizione al lascito, anche elettorale, del Pci. Che per altro stanno facendo di tutto per dissipare. Anche io, pur non essendo un pensionato nostalgico, confesso di sentire la mancanza nella Sinistra di oggi di persone che vengono dalla Resistenza. Dispiace dirlo, ma penso che Berlusconi abbia vinto soprattutto sul piano della comunicazione e della cultura di massa. I tempi sono cambiati, è vero, ma la classe di amministratori e di politici della Sinistra di oggi non credo sia paragonabile a quella di un tempo. Anche il suo linguaggio, spesso è troppo perbenino. Non a caso intercetta sempre meno i cosiddetti ceti popolari. Ma non parlerei di nostalgia. Cedo infatti che in alcune vecchie e nostalgiche idee di Libero ci siano germi di tutto quel mondo no-global di oggi che mi risulta composto soprattutto da giovani. Tutti nostalgici nati vecchi? Non credo.

C'è un bel dialogo nel libro: un pensionato e un ragazzo vantano ciascuno il proprio tempo. Libero dice: meglio prima. E il ragazzo sulla moto risponde: meglio oggi. Altrove una ragazza bielorussa rincara: meglio oggi, perché una volta non c'era la libertà in Unione sovietica. Com'è che un autore giovane come lei è riuscito a immaginare le arrére-pensèes di un pensionato settantenne al punto – quasi – di schierarsi al suo fianco?
Sono un Eternamente Giovane Scrittore, è vero. Ma ormai sto arrivando anche io ai quaranta. Poi. Sentimentalmente confesso di essermi schierato a fianco del personaggio principale del libro e dei suoi amici. Credo che ciò sia avvenuto perché abito a Reggio Emilia. Al di là delle idee che cambiano in continuazione e spesso si ripetono, qui resiste ancora l'eco di un modo diverso di guardare al lavoro, ai servizi sociali, al rapporto tra le persone, alla stessa propria storia civile. Ci sono stati dei morti, c'è stata tutta una ritualità, ci sono stati dei valori, c'è stata una speranza in un mondo sempre migliore. Che avevano legami con il falso mito sovietico, ma che avevano anche una loro originalità e specificità tutta italiana, oserei dire emiliana.

Lei immagina che qualcuno scriva in prima persona la storia di Libero e degli altri pensionati-partigiani schierati in difesa del busto di Lenin. Chi è che scrive e perché ha scelto la prima persona anziché la terza?
Il romanzo ha avuto numerose stesure ed stato gestito in più di cinque anni. Le prime stesure, rispetto all'attuale, erano molto più corpose, ho fatto un gran lavoro di "taglio". C'erano stesure in prima persona e in terza. Ce ne era una completamente comica, di tipo "don camillesco": alla fine però non mi convinceva del tutto. Un'altra era più "memorialistica": quella mi pareva troppo grave e nostalgica. Alla fine ho optato per una terza persona. Chi è che parla? E' l'autore, che immagino come un amico di Yuri, il giovane conoscente di Libero. Questo al momento è stato, tra l'altro, il mio libro più rifiutato. Forse mi sbaglio, ma ho la sensazione che il periodo che va dal 1989 al 1991 sia uno dei più "rimossi" della nostra Storia. Sia da Destra che da Sinistra. Una specie di periodo-tabù.

I dialoghi non sono resi nella forma tradizionale, ma quanto dicono i personaggi è riportato senza segni di interpunzione quali le virgolette. Il risultato che si ha è di credere che l'autore del racconto trascriva i dialoghi secondo quanto ricorda, come nei modi del discorso indiretto libero.
Tutti i dialoghi dei miei libri sono scritti in questo modo, senza virgolette. E' una scelta stilistica. E' per rimanere più fedele all'idea di un racconto orale. E' per evitare quella contrapposizione che spesso sento molto meccanica tra narrazione-descrizione e dialogo, che mi fa venire in mente più una buona sceneggiatura che un'opera letteraria di oggi.

Libero sta bene soltanto a Cavriago: se esce fuori paese si sente male, la nevrosi lo soffoca. Cavriago è visto dunque come un interno, un ambiente chiuso, come la "Fonderia Italghisa". Anche stavolta il suo racconto muove in un ambito circoscritto, quasi claustrofobico.
Credo che nel migliore dei casi ogni libro sia un piccolo mondo a sé. Lo stesso sia un personaggio. Lo stesso sia una persona. Non credo a una lettura della realtà univoca, oggettiva, falsamente disinteressata come quella che sempre più tendono a raccontarci la politica e l'informazione, che poi sono la stessa cosa: basti guardare all'Italia. Sono interessato a raccontare il nostro mondo e i suoi cambiamenti da posizioni marginali, alternative, apparentemente anche più riduttive e sconcertanti. A volte mi pare che in questo modo si possa offrire al lettore delle visioni del mondo più inattese e utili. In particolare mi accorgo di essere particolarmente attratto da personaggi o molto giovani o piuttosto anziani. Mi sono chiesto anche io perché. Credo perché si tratti di gente che è a margine del cosiddetto mondo del lavoro e della sua ideologia dominante: quella del cosiddetto libero marcato unico. In questi margini sono convinto che, lo ripeto, può capitare di imbattersi in esempi di vita e letture del mondo, cioè di cultura, diverse da quelle che oggi vanno per la maggiore. Visioni e alternative, più utili all'intera comunità.

Il gruppo di pensionati che non vogliono che il Pci cambi nome, che non vogliono alcun processo revisionistico, che nella difesa del monumento a Lenin vedono un atto giustificativo di tutta la loro vita spesa per un ideale, secondo lei oggi ha avuto eredi, si è in qualche modo conservato? Il suo romanzo lascia pensare che con Libero sia finita per sempre un'epoca. Oggi in realtà è difficile trovare comunisti come Libero.
Con Libero è senza dubbio finita un'epoca. Ma ripeto, diverse di quelle idee, pur espresse con un lessico e una modalità diversa, mi pare sopravvivano in buona parte del movimento no-global. E non solo, anche in parte degli elettori di Sinistra. Perché al di là delle maschere storiche si tratta per lo più di aspirazioni a un mondo migliore, al di là del modo in cui questo mondo possa essere migliorato. Ecco, se anche solo questa aspirazione naturale rimane, credo che questo sia sano e positivo per tutti. Se invece questa aspirazione, magari anche solo ideale, viene soppressa appena nata, credo sarà peggio per tutti noi.
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