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L'importanza della memoria secondo Caliceti
Chiara Cabassa, La Gazzetta di Reggio, 20.05.2001
E' in libreria da pochi giorni Il busto di Lenin, edito da Sironi, ultima fatica letteraria dell'insegnante e scrittore reggiano Giuseppe Caliceti. Dopo essersi dedicato al mondo dell'infanzia (Rachid, un bambino arabo in Italia) e a quello dell'adolescenza (Fonderia Italghisa, Battito animale) ora Caliceti si sofferma sulla terza età, ma anche sull'importanza della memoria e sulla fugacità dei valori. Il busto di Lenin ci parla infatti delle peripezie di cinque pensionati che con tutte le loro forze cercano di arrestare una storia troppo veloce. Così lo racconta l'autore.
Il busto di Lenin diventa nel romanzo metafora tangibile della passione politica di un gruppo di irriducibili pensionati emiliani . Una nuova resistenza guardata con tenerezza ma anche con ironia.
Mi interessava scrivere un romanzo sulla storia del busto di Lenin di Cavriago perchè è una bella storia emiliana. Capace di commuovermi. Come narratore la guardo effettivamente con tenerezza e leggerezza, qualche volta magari sorridendo, ma senza fare della facile ironia. Perchè di fronte a chi crede a dei valori, a prescindere da quali siano, credo ci si debba porre in una posizione di ascolto e grande rispetto. Più che un romanzo storico, definisco "Il busto di Lenin" un romanzo politico-sentimentale.

Perché oggi certi valori ci fanno sorridere?
Perchè il tempo passa e noi cambiamo. Il romanzo parla della vecchiaia e del passare del tempo. Il tema centrale sono la vecchiaia e l'impermanenza, cioè la fugacità della vita, dei sentimenti e delle idee che proviamo. Basti pensare come nel 1971, quando il busto di Lenin fu donato alla popolazione di Cavriago, anche la Dc di Cavriago vedesse in Lenin e in quello che accadeva allora in Urss qualcosa di positivo, come testimoniano i documenti. Credo che l'importante sia non negare il proprio passato. Accettare la propria storia, privata o collettiva, magari anche con le sue difficoltà o i suoi errori, è più sano e positivo che negarla o reinventarla. Una storia è sempre un valore.

Quale forma di resistenza è possibile, oggi?
Il libro parla di un'epoca passata, ma credo che alcuni dei valori e problemi espressi allora, siano ancora attuali, almeno in buona parte della Sinistra e nel cosiddetto movimento no-global. Parlo della difesa della democrazia, della libertà di informazione, della solidarietà, della pace, del problema della fame del mondo, del rapporto tra problemi del sud e del nord del mondo, della qualità del lavoro, della moralità della politica. C'è poi un valore etico che accomuna laici e non laici: quello di consegnare ai giovani un mondo migliore di quello in cui viviamo. E che oggi è messo in discussione.

Si ribadisce giustamente e da più parti l'importanza della memoria, del non dimenticare per non ripetere gli sbagli del passato...
Credo che da qualche tempo in Italia sia in atto una sorta di rimozione e rilettura della storia nazionale a uso e consumo di chi ci governa oggi. Avviene promuovendo una sorta di giovanilismo continuo: gli anziani e la loro storia non sono più visti come un tesoro di esperienza e di saggezza, ma come un ingombro.

Lei che è anche insegnante, come pensa sia possibile trasmettere ai giovani l'importanza della memoria?
Come insegnante prendo atto che con la Riforma Moratti, per esempio, nelle scuole elementari si insegneranno tante ore di storia come di religione. E che il programma di studi non toccherà più la storia recente dell'Italia.

Probabilmente a quello ci penserà la tv?
Personalmente penso che per trasmettere per esempio memoria dell'olocausto, la cosa migliore è ascoltare la testimonianza orale o scritta di chi allora c'era e magari visitare i luoghi che portano ancora traccia di quell'orrore. In questo modo si trasmettono sentimenti che spesso valgono più di tante date di guerre e battaglie.

Come vedi il futuro civile e sociale delle nuove generazioni?
Tenendo conto della società nella quale vivono e crescono, io vedo abbastanza positivamente i giovani di oggi. Magari sognano meno di quelli per esempio del '68, ma mi pare che siano meno ingenui, più concreti, più onesti con se stessi. Credo che però il loro futuro - basta pensare a quello che accade nel mondo del lavoro - possa essere anche più difficile di quello dei loro padri. E questo non mi pare un buon segno.

E' impossibile, a proposito del suo ultimo romanzo, non tirare in ballo Peppone e Don Camillo.
Subito avevo pensato di far parlare il busto di lenin di Cavriago come il crocefisso di Brescello, ma il rischio era quello di fare un romanzo di sola fiction. Così ho cercato di mantenere l'ironia e la leggerezza di narrazione di Guareschi, ma guardando con altrettanto interesse ad altri due autsider della letteratura italiana del secondo Novecento come il bolognese Giuseppe Morselli e Beppe Fenoglio, che hanno parlato in modo intenso e non retorico della guerra di Liberazione e del comunismo in Italia, prendendosi molte critiche da parte di tutti quanti.

C'è un messaggio che volevi trasmettere con questo libro?
Volevo trasmettere il sentimento di chi a settant'anni, dopo una vita da partigiano e onesto lavoratore, sente la morte arrivare da un momento all'altro e si chiede se tutti i suoi sacrifici sono serviti a qualcosa o assolutamente a niente.
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