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Infanzia dea, un romanzo autobiografico |
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Sandra Origliasso, Italialibri, 15.03.2004 |
Italialibri.org |
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Il ricordo dell'infanzia è il filo invisibile che permette all'Adulta di riflettere e di ritrovarsi in questo Infanzia dea, romanzo d'esordio di Maria Luisa Bompani, storia autobiografica del passaggio conflittuale dall'infanzia all'età adulta. |
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“Hanno distrutto la mia vecchia casa”.
Così scrive Maria Luisa Bompani nell’incipit di Infanzia dea (Sironi Editore), chiarendo fin da subito la natura autobiografica dell’opera.
La protagonista della storia vive in un paesino della pianura padana nei primi anni 60’. Insieme alla vicenda personale, viene descritta la vita quotidiana dei contadini emiliani memori dei segni lasciati dalla guerra. L’esistenza della Bambina si svolge fra il cortile e la scuola, circondata dai famigliari.
Il ricordo è, infatti, il filo che collega la riflessione dell’adulta sulla bambina, nel corso della quale, spesso, emerge la realtà di fatti dolorosi. L’atto di “scoprirsi” è, inoltre, supportato da una scrittura curata e ragionata, anche laddove sembra frutto di un’esigenza spontanea.
Quindi, l’elemento che colpisce l’attenzione del lettore è lo stile non tanto la storia in sé, costituita da ricordi, sensazioni, ma anche pensierini scolastici.
Usando un registro molto vicino al parlato, la Bompani compie consapevolmente la scelta della prima persona, quale mezzo per privilegiare il significato emozionale, su quello sintattico. Nei passaggi in cui emergono testimonianze scritte, perlopiù scolastiche, lo stile, invece, appare più conciso e diffuso è l’uso della terza persona. Precise, all’interno della struttura narrativa, compaiono le frasi allegoriche usate per creare pathos e attirare l’attenzione del lettore nel seguire la storia, come in questo passo: «L’erpice sarebbe stato il mio guscio, la mia prigione. Il mondo stava dietro una grata, mentre le giunture arrugginivano. Gli stracci della zingara che continuavo a mettere sopra diventavano giacche, cappotti, maglioni. Io ero vestita del tutto, per sempre. Non avrei potuto scottarmi con le braci, né sentire la puntura di un’ortica, il bruciore di un ginocchio sbucciato giocando a pallone. Non sarei rabbrividita per la schiuma del mare sulle dita dei piedi, per il freddo di una notte passata nel bosco. Non sarei mai stata nuda, viva nel mondo vivo».
Infine, fondamentale è il dialetto modenese, qui sentito come una lingua bassa ma allo stesso tempo famigliare in quanto appartenente all’educazione della bambina. |
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