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Qui non è il Paradiso...
Agnese Palumbo, Lucanianet.it, 07.01.2004
www.lucanianet.it
...intervista ad Antonella Cilento. Si parla di Identità, Organizzazione Culturale, Editoria, Università, SudCreativo...
All’uscita di “Qui non è il paradiso”, ultimo libro di Antonella Cilento, un mormorio ha percorso la Napoli bene, quella parte della città in perenne attività creativa. Serpeggiava l’idea dell’inciucio: qualcuno ha parlato di pettegolezzi altri di sassolini e scarpe. Ma il dibattito vero e proprio non è mai decollato.

Napoli è un argomento delicato. Per certi versi la città resta simbolo di un Sud che aspetta il suo riscatto, che in qualche modo supera i confini e non si sente più un’appendice. Ed è proprio in questo percorso di emancipazione che spesso avviene l’empasse. A Napoli fanno cultura le istituzioni istituzionalizzate (perdonate il gioco di parole) che creano grandi eventi o quelle altre non istituzionalizzate che si creano un loro pubblico. Per chi resta fuori dall’Olimpo c’è lo spazio della parrocchia dietro casa. A questo punto l’emancipazione si arena e con essa la volontà di realizzare laboratori di scrittura o progetti culturali come "SudCreativo" che devono muoversi controcorrente.

Napoli pizza, mandolino e Vesuvio col pennacchio, sembrava un’iconografia superata, ma il pericolo è sempre in agguato, come quello della città oleografica e il neapolis style esportato e venduto sulle bancarelle di imprenditori o di editori, di ogni parte del mondo, pronti a svendere per fare soldi.

Un editore commissiona un pamphlet...in fondo il Sud quanto vende in libreria? Ma soprattutto, vende più uno scrittore di Napoli o uno scrittore che parla di Napoli...(se male meglio)?
Per la verità l’editore non si è sognato di commissionare un bel niente! Giulio Mozzi, che è il curatore di Indicativo Presente, la collana narrativa di Sironi, mi ha detto: perché non fai un libro per noi? E poi, quasi scherzando: per esempio sul far cultura oggi a Napoli? Il punto è che lo scherzo io l’ho preso sul serio perché da troppi anni sentire il luogo e viverlo mi provocava necessità di scriverne. Quest’operazione per me è una questione civile, di chiarezza. Quanto alle vendite, ahimè, non credono che gli scrittori vendano granché, né se sono di Napoli né se parlano di Napoli. Tanto meno se ne parlano male, perché Napoli non vuol mai sentir mai parlare male di sé. E questo è uno dei problemi narrati nel libro.

Lei ha scritto per denunciare la difficoltà di fare cultura a Napoli. Come si sente ora ad essere definita “colei che fa polemica” anziché “colei che fa cultura”? Si ritrova in questa definizione? Se no, cosa non è stato capito?
Per la verità, quasi nessuno mi ha accusato di far polemica. Anzi, è sceso uno strano (ma atteso) silenzio attorno alle questioni sollevata dal libro: l’identità, l’organizzazione culturale, l’editoria, le scuole, ecc... D’altro canto, il libro è stato scritto proprio per denunciare una grave difficoltà a far cultura a Napoli (e nel Sud), quindi sarebbe bene che la polemica s’innestasse. Invece la polemica non c’è o viene stimolata dall’esterno della città, magari da chi è andato via, segno di un’acquiescenza generale degli abitanti, di uno stile mafioso, senza argomenti, sui problemi che tutti i giorni chi si occupa, come capita a me, di organizzare cultura e vivere di quest’attività affronta. Molti sono stati stimolati ad esprimere anche un parere contrario, ma preferiscono farlo in privato, come se il pubblico fosse un luogo spaventoso e nessuno vuole esserne toccato. Ci sarà anche una parte di mancata comprensione di quanto raccontato nel libro, ma mi sa che è un problema di punti di vista, di apertura mentale e di responsabilità personale.

Gli scrittori che si emancipano scrivono al Nord?
Questa domanda non mi è chiara. Il punto è un altro. Gli scrittori, se sono veri scrittori e sono bravi, trovano un buon editore, di solito. I buoni editori sono buoni imprenditori, sanno rischiare e sanno fare industria culturale. I buoni editori, per ora, sono in larga parte al Nord (ma anche al centro). Al Sud i buoni editori sono pochissimi, perché non c’è la mentalità formata a pensare l’imprenditoria come professione, quindi con crismi di serietà e di rischio. Quindi i buoni scrittori del Sud quasi sempre sono editi al Nord. Il punto è che il Sud dovrebbe emanciparsi da vecchie logiche provincialistiche, lamentose e poco professionalizzate, ad esempio dal fenomeno dilagante dell’editoria a pagamento. Chiedere soldi a chi scrive un libro, spesso mediocre, fa andar avanti il business, ma non crea scrittori. Se un editore produce solo libri a pagamento sta venendo meno al suo obiettivo: produrre cultura. E imbroglia un mucchio di pseudo-autori...

Parliamo ora del progetto Sud Creativo. Potrebbe sembrare un antidoto alla non-cultura ma per chiarezza bisogna dire che nasce molto, molto prima del libro. Come si relazionano?
SudCreativo è una rete nata (da un’idea di Antonio Spadaro) con l’intento di collegare le realtà che si occupavano di scrittura creativa al Sud poi ha accolto anche scrittori, giornalisti, lettori. Ma è solo una mailing list, un progetto che per ora non è un’alternativa concreta a niente, salvo che supera almeno sotto il profilo virtuale la mancanza di circolazione informativa che ha sempre caratterizzato il Sud. Quindi ha una funzione connettiva, è una rete di contatti. L’isolamento delle persone e degli eventi è, o dovrebbe essere, l’inizio di uno spirito più collaborativo e associativo, ma fin’ora debbo anche dire (SudCreativo esiste da tre anni) che ha prodotto solo un convegno (che ho realizzato a Napoli) e un più fitto scambio personale fra gli iscritti. Non so se ne nascerà qualcos’altro.

Le accenno anch’io un po’ di retorica: Federico II fondò la prima Università pubblica. Quanto conta e quanto dovrebbe contare oggi l’Università a Napoli?
L’Università fa molto poco ed è inquinata da logiche baronali che non producono pensieri critici di autentico spessore, nella maggior parte dei casi. Un’università aperta alla cultura dovrebbe relazionarsi con l’esterno molto di più, ma non è in grado di farlo, se non per sporadici e occasionali eventi e per la buona volontà di docenti isolati. E’ un’Istituzione, il Potere riproduce se stesso, spesso senza alcuna intelligenza. Potrebbe essere un punto di riferimento assai più importante di quel che è oggi. Ma sono rimaste, e parlo del ramo umanistico, pochissime menti pensanti a Napoli.

Mi attardo sulla sua metafora, e allora, se in ‘Paradiso’ ci vanno i buoni, in ‘paradiso’ chi ci va? Che caratteristiche ha questo paradiso con la lettera minuscola che Napoli non è?
Insomma, la questione è che i buoni non esistono, che esiste una marmaglia che preferisce non sporcarsi le mani (o sporcarsele fin troppo). Il Paradiso che non c’è potrebbe essere un paese dove ognuno decide di fare e di rimboccarsi le maniche prendendo su di sé le colpe degli errori commessi ma anche avvantaggiandosi delle buone scelte fatte. Un luogo dove si smette di dire che la colpa è di qualcun altro (del Comune, di Bassolino, della Regione, dello Stato, di san Gennaro, del vicino di casa, dei conducenti d’autobus, di quello più ricco, ecc…)e s’inizia a pensare e a costruire con la propria testa. Il Paradiso potrebbe essere una città dove i panni sporchi non si lavano in famiglia ma l’occhio di tutti è attento a rilevare i cambiamenti e le novità. Un posto a reazione chimica, dove se il cittadino parla la sua voce ha peso, non solo perché l’Istituzione gli dà ascolto, ma perché la voce del cittadino merita di essere ascoltata, in quanto responsabile e produttiva. Il Paradiso dovrebbe essere una città che non ha solo la forma esterna, l’immagine, del Paradiso, che non va guardata solo da lontano, da San Martino o da Capodimonte, dai panorami, ma che si possa guardare senza restarne orripilanti anche da vicino. Una città più pulita, meno viziata, più stimolante.

Un cenno al portale che ci ospita…in che rapporti è con la Basilicata?
Torno in Basilicata qualche volta, se vengo a tenere lezione di scrittura, ed è una terra che mi piace e m’intristisce insieme, come l’Irpinia. I luoghi interni sono sempre belli. Di recente sono stata intervistata sui fatti di Scanzano Jonico e ho detto che la cosa che mi è piaciuta di più è la compattezza dell’identità che si è vista nella protesta, questo essere lucani senza distinzioni di paesi. Mi è piaciuta l’organizzazione e il senso civico, espressione di un Sud assai diverso dal luogo comune che ci accompagna e per fortuna molto diverso anche dalla mia città.
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