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Non è il paradiso, Antonella Cilento, Sironi
Luigi La Rosa, Pickwick.it magazine, 25.11.2003
Pickwick.it
Attraverso convegni, premi letterari, presentazioni di libri, assessorati alla cultura, mostre d'arte, laboratori di scrittura, si compone il quadro impietoso di cosa significhi "fare cultura a Napoli" oggi
C’è una Napoli sognante, ideale e idealizzata: la Napoli letteraria, parigina, capitale d’Europa. La storia e il mito le hanno ricamato addosso pagine di encomiabile santità. Ma sotto questa patina di buona crema e variopinti propositi, si nasconde una città marcescente, putrida, nella quale malessere di chi è dotato di buoni intenti viene inevitabilmente a scontrarsi con le acque stagnanti di una drammatica mancanza di coscienza.
Una delle più interessanti nuove voci della narrativa italiana, Antonella Cilento - e soprattutto una di quelle figure napoletane che hanno davvero a cuore il problema della cultura nella loro città -, ne ha ripercorso il problematico perimetro culturale, tra abusi, qualunquismi etici, giochi di potere vecchi quanto l’uomo e ipotesi di potenziali cambiamenti.
Non è il paradiso (Sironi, pp. 190, euro 12,50), questo il titolo del delizioso volume in forma di saggio romanzato, che la scrittrice, già apprezzata per il precedente romanzo La lunga notte (Guanda, 2002) e i racconti Il cielo capovolto (Avagliano, 2000), manda in libreria in questi giorni, con un gesto “spregiudicatamente” civile e coraggioso.
Civile, perché di civiltà abbiamo tutti bisogno. Coraggioso, essendo schietta la sua penna nel ripercorrere l’intricato sottobosco dei luoghi comuni, e nel mettere a nudo, sulla tavola nuda della condanna, atteggiamenti riprovevoli, poco adatti a una città dalle aspirazioni internazionali come Napoli.
Favola satirica, pamphlet politico, documento di profonda denuncia sociale, Non è il paradiso è un libro veramente speciale. Unico nel suo genere. Ci bastano anche solo poche pagine, per affermarlo. Per esserne certi. Per inserirlo tra i libri che ci piacciono e di cui bisogna assolutamente discutere.
La scrittura non risulta pesante, non grava sul lettore nel suo intento di denunciare, ma sposa mirabilmente il piacere del racconto attraverso una struttura elegante, assai narrativa, affidata all’intreccio di fatti e personaggi, alcuni dei quali amabili, pervasi come da una allucinata, affilata, ma amarissima ironia.
Chi potrà scordare a tal proposito il focoso Riavulone, assecondato dalla più dolce e permalosa Fenesta Vascia nei suoi capricci diavoleschi?
Il libro contiene il grado di fatica di chi ha sempre lottato per conquistarsi un suo spazio e al tempo stesso evitare di andar via, tagliare i ponti con le radici. Restare significa a volte un po’ morire, perdersi nell’incompiuto, nel magma dell’incerto.
Antonella Cilento ne è cosciente, ma non si dà per vinta. Non desiste. Insiste. Non rinuncia al desiderio di cambiare le carte di un gioco squallido in cui non si ritrova, essendo figlia dei ritmi e i miti di una città per certi versi unica al mondo. La sua voglia di lottare è già cultura. Il suo coraggio, segno che qualcosa dovrà davvero cambiare.
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Testo riprodotto unicamente a scopo informativo.

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