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Napoli Non è il paradiso
Grazia Casagrande, libriAlice.it, 01.12.2003
libriAlice.it
Non è il paradiso è un pamphlet corrosivo e autobiografico, sul far cultura a Napoli recentemente uscito nelle edizioni Sironi, che ha scatenato in città reazioni opposte: lettere di plauso all'autrice, ma anche attacchi inferociti da alcuni quotidiani. Abbiamo voluto sentire il parere di intellettuali e giornalisti e in primo luogo quello della stessa Cilento.
Prima di tutto alcune note di Antonella Cilento sul proprio romanzo

Perché per un messaggio così forte hai scelto la narrativa?

Non potevo scegliere altro mezzo se non quello che mi è più consono: sono una narratrice, scrivo romanzi, dunque posso solo raccontare. Ho scelto di fotografare con un mezzo ibrido la realtà culturale napoletana perché mi serviva un linguaggio che fosse da un lato simbolico dall'altro cronachistico. È una fotografia "mossa" perché la realtà di cui parlo è in progress, quindi anche il libro e la sua lingua sono in movimento. Il saggismo o il giornalismo non mi avrebbero offerto gli strumenti necessari per ritrarre l'inferno cittadino.

L'ironia può essere più pungente dell'invettiva?

Sicuramente. D'altro canto ironia e invettiva sono strette parenti e si passa facilemente dall'una all'altra, di solito. Il punto è che ironia e invettiva prevedono di solito uno sguardo morale sulla realtà, un bisogno di verità e di etica, di sincerità che era quello che mi premeva rappresentare. Il pamphlet nella sua storia letteraria offre sempre questo sguardo, da Voltaire in poi: l'ironia e l'invettiva prevedono anche un'assunzione di responsabilità, a volte rischiosa.

I tuoi personaggi hanno nomi esemplari: che cosa volevi significare?

Ho scelto nomi simbolici per i diavoli del mio racconto, che rappresentassero una vieta, o ripetuta, napoletanità: Fenesta Vascia, Alli uno Alli doie rimandano a versi o titoli di canzoni famose dell'eterno repertorio napoletano. Volevo indicarne la lamentosità, la finta generosità, l'allegria perversa. In altri casi, ho scelto di rappresentare i personaggi per categorie, l'Editore Arraffo, il Critico Raffinato e altri, perché mi sembrava di osservare figurine gogoliane che riassumevano, non tanto nella loro identità personale, quanto in comune atteggiamento, ruoli e funzioni assegnati da abitudini cittadine, da un lassaiz faire che produce poi quella che nel libro è definita camorra light, cioè un atteggiamento altamente mafioso, in fin dei conti non colpevole ma nemmeno consapevole o responsabile.

Il dibattito poi si apre...

Le polemiche sorte intorno al libro indicano come la Cilento abbia toccato la sensibilità di molti intellettuali napoletani: può farmi una fotografia essenziale della situazione culturale a Napoli?

Vincenzo Ajello *
Napoli ha molti scrittori che si sono imposti all'attenzione nazionale, europea ed anche internazionale... Si può parlare di una Scuola? no, sono tante singole personalità artistiche che hanno gridato la città squadernata in modi singolarissimi (Montesano, De Luca, Franchini, De Silva, Pascale, Parrella, Castaldi etc... ). Per quanto concerne le istituzioni culturali e la possibilità di fare cultura a Napoli una fotografia essenziale è presto fatta: anche istituzioni storiche come L'Istituto Italiano di Studi Storici lamenta mancanza di fondi e si moltiplicano i peana su una situazione che a volte è lasciata al puro volontarismo - seppure qualificato - intellettuale...

Andrea Di Consoli *
La situazione culturale napoletana non è facilmente definibile. Io, del resto, non sono napoletano, ma ho vissuto molto da vicino le dinamiche napoletane, avendo scritto un libro su Domenico Rea. Gli intellettuali napoletani si dividono, come ovunque, in provinciali e nazionali. Tra gli scrittori sicuramente "nazionali" metto Antonio Franchini, Giuseppe Montesano, Felice Piemontese, Antonella Cilento, Sergio De Santis, Maurizio Braucci e Michele Serio. Sul resto delle arti non mi pronuncio. Questi scrittori che ho nominato, e ne dimenticherò tanti altri, lanciano messaggi importanti e affrontano problematiche di interesse universale. Per quanto riguarda il "fare cultura" a Napoli, faccio notare che si fa cultura per tutti, non solo per i cittadini di un posto. Quindi, o si è di livello superiore o non vale la discussione. Per intenderci: anche una maestra di scuola svolge attività intellettuali (importantissime). Questo non significa che riesca a lanciare messaggi al di là dell'aula dove insegna. La faccenda, comunque, è assai complessa.

Stella Cervasio *
Napoli ha un quotidiano di media tiratura, Il Mattino, quattro quotidiani locali di piccola tiratura e due inserti di quotidiani nazionali (Repubblica e Corriere della Sera). Ma i professionisti disoccupati sono numerosi. Pullula di case editrici, che sfornano annualmente un numero di libri da capogiro: ma in gran parte si tratta di editoria assistita o prepagata. Difficile che chi viva lavorando come scrittore, aspiri a pubblicare con le sigle napoletane, che quasi mai corrispondono a vere aziende. Ho sentito parlare persino di cessione di un terzo della cifre di ogni premio letterario attribuito, all'editore. La più grande azienda editoriale, con un numero superiore a due cifre di dipendenti, stampa codici giuridici e giornali dei concorsi. La situazione non è migliore con l'arte: Napoli è città d'arte, vanta molti musei, ma le soprintendenze non assumono (in tutt'Italia) da anni. Alcuni si sono riuniti in cooperative e lavorano quasi sempre da volontari, pur avendo oltre 40 anni. Questa la situazione occupazionale. Molti sono i laureati che fanno domanda per lavorare nelle librerie di catene editoriali importanti che negli ultimi due anni hanno aperto a Napoli. Napoli ha un'attività fervida di mostre di arte contemporanea promosse dalla Regione Campania, a cui però non credo corrisponda un incremento nell'occupazione (le ditte o le singole persone hanno un rapporto fiduciario, il campo non si è ancora allargato). Non ho dati precisi, nel senso che non mi avete dato il tempo di procurarmene. Non vorrei limitarmi anch'io a una istantanea piuttosto sfocata della città, come quella scattata dalla Cilento. Ossia, il quadro più o meno corrisponde, senza fortissime oscillazioni. Ma bisognerebbe essere precisi, come da una buona inchiesta, per poter dire che è così.

Gli ultimi anni hanno visto una vitalità nuova da parte di molti giovani culturalmente impegnati, su quali fronti principalmente è possibile agire?

Antonella Cilento
Una delle cose capitate dopo l'uscita del libro è una messe di lettere di napoletani residenti o "espatriati" che lamentavano le difficoltà del restare. I giovani che organizzano attività culturali a Napoli sono molti e tutti incontrano difficoltà simili: restare "al nero" per molti anni in redazioni, associazioni e uffici; non essere mai professionalizzati o inquadrati; non progredire se non a costo di parentele e "amicizie", reperire fondi spesso già divisi, ecc.. La responsabilità personale e civile delle persone, l'onestà dei rapporti, sarebbe il vero progresso.

Vincenzo Ajello
Il lavoro culturale lato sensu inteso: scrittura creativa, traduzioni, saggi storici ed altro. Ma quasi mai si tratta di gruppi, ma sempre di forti personalità.

Andrea Di Consoli
Su tutti i fronti. Su quello politico, sociale, letterario, cinematografico o teatrale. Il mondo è un teatro aperto. Anche Napoli è un teatro aperto, o almeno dovrebbe esserlo (ultimamente non lo è). Ognuno agisce nell'ambito dove si trova meglio. Però, come dicevamo, bisogna saper distinguere tra iniziative provinciali e iniziative di ampio respiro. Questo è il dovere principale, soprattutto dei critici. Molto spesso si dà credito a persone col fiato corto. Napoli è piena di poeti del chiaro di luna.

Stella Cervasio
Vedo ad esempio che sul fronte dell'arte contemporanea, dove Napoli ha aperto discorsi di possibile sviluppo, si sono create possibilità per diversi giovani usciti dalle facoltà universitarie e da insegnamenti di estetica, storia dell'arte, ecc. Napoli con l'iniziativa annuale del Maggio dei Monumenti ha favorito lo sviluppo di cooperative di guide, promotori di iniziative turistiche, organizzatori culturali, ma tutto è legato all'evento, all'estemporaneità. Per il resto dell'anno, ci sono ben poche occasioni di lavoro anche per questi gruppi.

Il rapporto con la tradizione, o meglio con l'immagine della città un po' stereotipata che spesso circola in Italia, è un freno o è uno stimolo?

Antonella Cilento
È un freno per chi resta e per chi osserva. Il restyling che si sta organizzando attorno alla nuova oleografia napoletana è rischioso: rischia di illudere gli stessi napoletani che ripulita l'immagine si possano evitare cambiamenti più sostanziali. Questo è un pericolo che si innesta nell'abitudine autoconsolatoria, lamentosa ma non attiva che purtroppo permea alcuni strati cittadini.

Vincenzo Ajello
È un freno per chi sa che quest'immagine oleografica è finta e va bene oramai solo per i turisti del mordi e fuggi; ma d'altro canto non bisogna dimenticare che la tradizione ha anche una sua faccia spendibile perché verace: penso a Eduardo, Prunas, Ortese, La Capria etc...

Andrea Di Consoli
È uno stimolo, perché ognuno sente di dover premere sull'acceleratore. Ogni volta che un napoletano scrive della sua città, il rischio è quello di essere oleografico o bozzettistico. Questo induce a essere crudi e profondi. È una sfida che giova agli scrittori napoletani.

Stella Cervasio
Il rapporto con la tradizione è una cosa, l'immagine stereotipata che circola in Italia su Napoli è un'altra. Ed è a quest'ultima che imputerei uno dei più forti freni allo sviluppo della città e della sua rappresentazione. Su questo sono d'accordo con la Cilento. Ma l'importante è rintracciare le cause: la principale è la sostanziale autoreferenzialità della prima testata locale, e la scelta limitata di argomenti da 'importare' da Napoli che operano i quotidiani nazionali. Se a questo si aggiunge il fatto che non esistono giornali nazionali con sede centrale a Napoli, intendo dire napoletani, si comprenderà come mai l'immagine di Napoli sia ferma o alle vecchie oleografie di vicoli e scugnizzi più o meno modernizzati, o al cosiddetto rinascimento napoletano operato dalla politica di Bassolino. Aggiungerei che la città in questione si presenta particolarmente ostile alle sintesi giornalistiche, particolarmente irriducibile a gabbie precostituite, metodo ormai da noi normalmente seguito nei giornali.

Credete che l'esperienza personale di Antonella Cilento, la sua attività sul territorio, le difficoltà e gli ostacoli incontrati siano comuni ad altri intellettuali napoletani?

Vincenzo Ajello
Purtroppo sì

Andrea Di Consoli
Assolutamente sì. Anche se bisogna accettare i rischi di fare un lavoro difficilmente collocabile sul mercato. Bisogna essere sognatori e realisti.

Stella Cervasio
Non credo che l'esperienza personale della Cilento possa essere comune ad altri napoletani: se non sbaglio lei si definisce scrittrice, narratrice, quindi ha scelto una posizione da free-lance della scrittura. Pubblica con più di una casa editrice, napoletana e non, e svolge un'attività di insegnamento della scrittura di carattere privato anche perché non mi pare che sia ancora stato istituito un insegnamento universitario o scolastico di tal genere. Le sue difficoltà però credo siano comuni ad altri. Io, ad esempio, nell'85, dopo aver tentato di intraprendere la professione giornalistica con le collaborazioni, mi sono trasferita a Milano, dove sono diventata giornalista professionista, e da dove ho instaurato il mio rapporto con l'attuale testata nazionale in cui lavoro. Sono tornata a Napoli soltanto quando si sono create le condizioni, ovvero quella testata ha aperto una redazione napoletana.

Quali danni il "pubblico" ha compiuto e compie, quali potrebbero invece essere i suoi interventi positivi?

Antonella Cilento
Il "pubblico" ha in questo la responsabilità di gestire in forma assistita e particolare le iniziative, ma il punto è che per generazioni, ancor oggi, si è aspettato l'intervento pubblico per funzionare, evitando di innestare un autentico sistema imprenditoriale autonomo. E questo vale per la cultura come vale per altri lavori. L'editore che campa di fondi pubblici invece di investire nel nuovo è parente del singolo che aspetta il "lavoro statale". D'altro canto, chiunque abbia provato a far funzionare un'attività privata al Sud conosce la marea di ostacoli pratici, simbolici, mentali che si incontrano lungo il cammino. Cambiare una mentalità non è cosa semplice o rapida...

Vincenzo Ajello
Il "pubblico" è viziato dalla logica del consenso elettorale che distingue tra amici e nemici ed isola - sdoganandoli solo post-mortem - quelli che veramente costruiscono a Napoli non solo per sé ma anche per gli altri.

Andrea Di Consoli
Il pubblico è un Giano bifronte. A volte salva e a volte condanna. Non sempre la critica condivide il pubblico, anzi. Eppure lo rincorre. Bisogna essere equilibrati e pazienti. Bisogna confrontarsi con umiltà con la gente. È possibile che loro capiscano alcune cose ed è possibile che la critica ne impari altre. È una partita a tennis. Molto spesso, però, non c'è dialogo. E questo è negativo.

Stella Cervasio
Non sono una grande sostenitrice del 'pubblico'. Ovvero non sono dell'idea che Comune, Regione e così via potrebbero risolvere la disoccupazione intellettuale in un qualsiasi luogo geografico. Interventi positivi? Potrebbero essere le 'reti' eventuali da creare tra operatori di cultura, la formazione (ma per carità, questo è un vocabolo che rispetto agli enti pubblici non si può dire, è sinonimo di clientelismo, superficialità e impreparazione). I danni che ha compiuto sono invece da attribuire a quando si arroga da solo tutta la gestione di alcuni settori o di alcune operazioni culturali, creando oligarchie invece che democrazie e platee allargate e opportunamente assortite di operatori.

* Vincenzo Ajello scrittore e critico, direttore di Zonarimozione.net
* Andrea Di Consoli scrittore e critico, autore di Le due Napoli di Domenico Rea, edizioni Unicopli
* Stella Cervasio giornalista di La Repubblica
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