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L'attuazione del caos
Giovanni Choukhadarian, L'indice dei libri del mese, 15.11.2003
Metaromanzo per esordio
Umberto Casadei
Il suicidio di Angela b.
Un altro metaromanzo? Un altro esercizio di stile sulle forme, magari con l’inevitabile influenza di qualche ineffabile giovane scrittore americano? A prima lettura, questo è Il suicidio di Angela B. In 600 pagine che alternano narrazione propriamente intesa a materiali di origine spuria (articoli di giornale, memoriali di testimoni, referti di medici legali), viene infatti raccontata la vicenda editoriale di un dattiloscritto, che non può essere intitolato se non Il suicidio di Angela B. L’autore dichiarato è un Gianni Dezanni, compagno di classe della giovane suicida su un cavalcavia nebbioso del Triveneto.
La sfida di Umberto Casadei è però ben più complicata: e, piacendo al cielo, i giovani scrittori americani non c’entrano poi molto. Nel Suicidio, l’argomento procede per negazioni e contraddizioni e l’asse su cui tutti i personaggi si muovono è quello del dubbio. Il materiale umano e narrativo che l’autore accumula sarebbe perfetto per un’analisi sociologica, un po’ alla Franzen di Corrections, se non fosse Casadei stesso a rifiutarla. L’intreccio è a questo scopo annacquato da subito in una panoplia di punti di vista e materiali di riporto (articoli di giornali, testimonianze di ragazzi, addirittura e-mail degli editori del testo di Dezanni).
Se la sociologia non ha luogo, l’impassibile Casadei osserva tuttavia con occhio di anatomopatologo la dissoluzione delle istituzioni totali. Nel Suicidio le istituzioni totali sono soprattutto la scuola (un grottesco pastiche di Inglese, Impresa e Internet), il nucleo familiare devastato di Dezanni e la Dinamica Mentale, il gruppo in stile new age cui la famiglia Dezanni a un certo punto aderisce. In realtà, è la stessa forma-romanzo ad apparire un’istituzione totale, dalla quale Casadei evade non soltanto facendo uso di una plurivocità dissennata, ma addirittura attraverso espedienti grafici di lontana ascendenza futurista (durante la prima ora di lezione, il chiacchiericcio fra studenti è visualizzato da caratteri grandi e piccoli a seconda del volume delle voci). In questa direzione, il primo capitolo – ma la tassonomia di Casadei conosce ben altre articolazioni – appare il meglio compiuto, diviso com’è nelle 3 ore di lezione del giorno successivo al suicidio, rivissute in una diretta-differita di straniante efficacia.
Più impegnativa è la parte centrale dell’opera, costituita da una lettera in quattro parti di Gianni Dezanni, indirizzata alla professoressa di lettere Bidelli, degente e morente in un letto d’ospedale per un tumore. E’ la sezione più sregolata del Suicidio, quella in cui Dezanni/Casadei si impegna nella demolizione dell’istituto familiare. La madre, che lo spinge al completamento del manoscritto, è un’arrampicatrice sociale rinchiusa in modi provinciali da cui non sa emanciparsi. Il padre è un alcolizzato, con poco e nessun prestigio agli occhi della consorte, che infatti lo tradisce sotto gli occhi del figlio. Nelle lettere alla professoressa, Umberto Casadei dà fondo alle sue capacità tecniche e sollecita il lettore a un impegno di 170 pagine che si configura come un autentico romanzo nel romanzo.
Il Suicidio è un libro sconcertante: spesso confuso, quando non proprio velleitario. Non si dà però alternativa. Il mondo di Gianni Dezanni è regolato dal principio di indeterminazione e il nucleo teorico del romanzo risiede nella ricerca di un corto circuito, che per miracolo riordini le fila di una trama altrimenti deprivata di senso. I mezzi a disposizione di Casadei sono una strepitosa capacità di mimesi linguistica e stilistica e un controllo della materia narrativa decisamente allentato. Dal caos, Casadei/Dezanni è attratto in maniera invincibile – e la suprema antinomia di questo Suicidio consiste nel vano tentativo di ricomporlo per via di parola.
Umberto Casadei ha costruito il suo primo romanzo sulla nostalgia per la narrazione classica, quella degli eroi a tutto tondo e delle psicologie ben delineate. Non si può più, e allora resta lo spazio per questo virtuosistico diario di “soledades non transitive” (definizione di Domenico Scarpa, non riferita in origine al Suicidio), in cui la Società non è mai nominata e gli uomini sono gli automi dipinti una volta per tutti da Eugenio Montale nel quinto Mottetto. Un libro coraggioso e necessario, il cui merito va diviso tra l’autore e Giulio Mozzi, editore discreto e meticoloso. Che se poi il prossimo Casadei fosse una raccolta di racconti brevi, nessuno avrebbe a dolersene.
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