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"Ma il mio vero maestro è Doonesbury"
Tommaso Pellizzari, Sette - Corriere della sera, 06.11.2003
Due romanzi in un anno. Tullio Avoledo, lei è un grafomane. E magari sta già lavorando a un terzo libro…

“Veramente l’ho anche quasi finito. È la storia di un architetto disoccupato, che vive in una regione che vuole staccarsi dall’Italia. L’agguerrita assessora alla Cultura chiede all’architetto di organizzare un festival di revival celtico, e ogni riferimento alla realtà friulana non è casuale. In seguito…”

Va bene, va bene, del terzo parliamo un’altra volta, visto che sta per uscire il secondo. Partiamo dal titolo: perché Mare di Bering?

“Avevo in mente soprattutto due cose. La prima è una notizia che avevo letto: nel 1953 gli abbonati all’Enciclopedia Sovietica ricevettero una lettera in cui si diceva loro di strappare le pagine in cui si parlava di Beria. Pochi mesi dopo, nella nuova edizione, lo spazio occupato dall’ex capo della polizia segreta sarebbe stato sostituito dalla voce precedente, allungata e aggiornata: “Bering, mare di”. Questa curiosità mi si incrociava con un’altra cosa, più personale: la morte del padre di un mio amico, avvenuta il 31 dicembre. Un giorno in cui tutti avevano ben altro a cui pensare. E ho cominciato a ragionare sulle persone che spariscono senza che a nessuno importi granché, oppure su quelle che, pur di farle sparire, si allarga un mare”.

In effetti le sparizioni e i cambi di identità non mancano. Ma il protagonista è un venticinquenne che parla in prima persona. Autobiografico?

“Sì e no. A 21 anni c’è stato un momento in cui ho temuto che sarei diventato padre. Poi così non è stato, ma mi sono messo a immaginare chi e come sarebbe un mio figlio nato allora”.

C’è molta musica, in questo romanzo

“Sì, con due recuperi cui tengo molto. Quello di Billy Bragg, con il quale ho inziato una bella corrispondenza…”.

Dopo quella con i più grandi scrittori del mondo, adesso i cantanti.

“Sì. O almeno, ho cominciato con lui. E poi mi è piaciuto recuperare la grande Eva Cassidy, morta nel 1966”.

E quei personaggi di contorno, così intrisi di ’68 e dintorni?

“Quelli risalgono al riferimento più importante per questo libro: Doonesbury, le strisce di Garry Trudeau che leggo da trent’anni. È un intreccio di trame su uno sfondo irrealistico da commedia sofisticata, un fumetto sul mondo globale. Questo è quello che ho provato a fare”.

Sembra faticoso.

“Per niente. Scrivere non mi costa nessuna fatica, anche se so che dire così non mi attirerà le simpatie dei miei colleghi. E comunque L’elenco telefonico di Atlantide, il mio libro di esordio, mi ha creato più problemi. Secondo me il finale era meno risolto di questo. Ma il terzo…”.
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