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Così nacque il pomodoro biotech |
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Adriana Giannini, L'Eco di Bergamo, 13.10.2003 |
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Qualunque sia la nostra opinione sul consumo dei cibi geneticamente modificati, non si può dire che essi non rappresentino un importante passo avanti nella storia delle biotecnologie. Un passo avanti che, al momento attuale, richiede indubbiamente prudenza e massima chiarezza, ma che in futuro potrà consentire riduzione di pesticidi, raccolti più abbondanti anche in condizioni climatiche avverse, prodotti agricoli più nutrienti e persino capaci di proteggerci dalle malattie. Vale quindi la pena di conoscere i primi, difficili passi che hanno portato allo sviluppo dell’apripista degli alimenti biotecnologici: il pomodoro «Flavr Savr», giunto sulle tavole degli americani nel 1994.
In grado di restare sodo, rosso e saporito per quattro intere settimane, e quindi di poter essere raccolto e commercializzato a maturazione completata sulla pianta, grazie allo «spegnimento» del gene della marcescenza, questo pomodoro era parso alla società californiana Calgene Inc. l’asso nella manica, il prodotto che avrebbe potuto risollevare la società aprendo la strada al commercio dei cibi transgenici. In realtà non andò proprio così.
A raccontare la complessa e istruttiva vicenda è il libro intitolato appunto «Il primo frutto» (Sironi editore, Milano, 2003, pagine 284 , euro 18) scritto da Belinda Martineau, una delle ricercatrici che hanno collaborato alla creazione del pomodoro ingegnerizzato e ai rigorosi controlli sulla sicurezza del prodotto eseguiti per ottenere, nel 1994, l’approvazione della severa Food and drug administration statunitense. E il pomodoro che non marciva incontrò subito il favore dei consumatori, nonostante l’etichetta indicasse chiaramente che si trattava di un prodotto geneticamente modificato. In Alaska se ne vendettero persino confezioni regalo: un originale presente in un Paese dove la verdura fresca è preziosa.
Ma il mercato americano è difficile da gestire per le imprese di modeste dimensioni. Assediata dal gigante Monsanto, la Calgene finì col cedere e ritirare dal commercio nel 1997 il suo pomodoro Flavr Savr.
Belinda Martineau ritiene che in questo caso non avessero avuto troppo peso i timori degli ambientalisti nei confronti delle biotecnologie, anzi ha l’obiettività di ammettere che per altri prodotti geneticamente modificati molto diffusi negli Stati Uniti, come soia, mais e cotone, non sempre sono state seguite tutte le prudenti procedure adottate per lo sfortunato «primo frutto». |
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