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Cultura a Napoli? Non è il Paradiso |
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Francesca Stefania Ferrara, Il Denaro, 10.10.2003 |
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IL CASO: INTERVISTA CON ANTONELLA CILENTO, AUTRICE DI UN LIBRO CHE ACCENDERà GRANDI POLEMICHE |
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Esce oggi l’ultimo lavoro della scrittrice napoletana Antonella Cilento. “Non è il Paradiso“ (Sironi Editrice, euro 11,50) è un libro inusuale che è insieme un libro-inchiesta sul "fare cultura a Napoli oggi" e un'opera di narrazione. Una copertina che presagisce già lo “spirito” del libro.
Il Denaro ne parla con l’autrice.
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Domanda. Come si fa ‘cultura’ a Napoli?
Risposta. Oggi a Napoli si fa cultura con difficoltà. Le istituzioni la fanno pensando quasi esclusivamente all’immagine della città, al suo aspetto esteriore, non a creare strutture che durino e non favorendo chi investe in proprio in questo settore.
D. E in passato?
R. In passato significava non farne: non c’è mai stata grande attenzione alla cultura in questa città, che pure si vanta di essere una capitale. C’erano altre condizioni, oggi, cioè dal ’93, le cose vanno meglio, ma troppo spesso vanno meglio solo sulla carta o nelle riprese televisive che mostrano i “grandi” eventi napoletani.
D. E per il futuro?
R. In futuro, l’auspicio sarebbe di far cultura con maggiore attenzione all’idea di azienda e industria culturale, cioè cercando di fondare strutture che durino, che cambino nel profondo la nostra città grande, ma inesorabilmente provinciale e autoreferenziale.
D. E il famoso rinascimento napoletano che fine ha fatto?
R. La rinascita che c’è stata voleva essere culturale e politica insieme. Ma dopo un paio d’anni dalla prima era Bassolino, entrambi i piani hanno cominciato a fare acqua. Lo dico con rammarico, perché credo anch’io in quell’idea “politica”. Il problema è che le idee non bastano se la pratica sociale non si modifica: dal nostro quotidiano, dalle nostre abitudini di ogni giorno, bisognerebbe apprendere la deformazione che causa certe relazioni.
D. Quale deformazione?
R. A Napoli c’è una dinamica di sopraffazione, e chi lavora nella cultura o nei servizi lo sa bene. L’antietica del commerciante sopraffa qualsiasi forma di relazione lavorativa corretta. Come meravigliarsi del furto quotidiano nelle amministrazioni, se in casa nostra noi stabiliamo regole di assoluto egoismo e di nessun colloquio sociale?
D. L’idea di questo pamphlet come nasce?
R. C’erano, e ci sono, molte cose che avevo da dire su questa mia città: vecchie questioni pendenti che ogni autore napoletano riceve in eredità, come la pesantissima questione dell’identità culturale, alcune osservazioni antropologiche sul comportamento del cittadino napoletano, e molte esperienze, al limite del grottesco, accumulate in questi undici anni che ho trascorso a insegnare scrittura creativa e a organizzare cultura (convegni, manifestazioni, ecc…) a Napoli e in Campania. Insomma un libro che mi facesse uscire dal romanzo tout-court e mi consentisse di passare attraverso la finzione a discutere di fatti d’esperienza personale.
D. Dalla Bibbia due personaggi ‘a prestito’: Eva e il Diavolo. Due alter ego di…?
R. Non avevo pensato alla Bibbia, ma in effetti il paragone è lecito: è fin troppo evidente che Eva racconti le mie esperienze e che prenda a prestito per “dire” la città, la mia voce. Il Diavolo, cioè Riavulone, è invece un concentrato della napoletanità più deteriore, quella oleografica, kitch, camorristica, avvocatesca, neo ricca o organizzata ma disoccupata, insomma tutto ciò che io aborro in questa città.
D. Il Diavolo, quindi, tenta Eva...
R. Non so se alla fine Eva riesca davvero a non mordere la mela: il rischio di chi resta a lavorare qui è che alla lunga, a furia di confrontarsi con la ‘camorra-light’ del nostro vivere quotidiano, se ne faccia assorbire. Il disgusto di Eva per un po’ la protegge e il suo eccesso di sincerità anche.
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