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“Vivere vorrei addormentato…” |
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Martino Baldi, Il grande vetro, 01.08.2003 |
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Il rumore bianco della vita
La vita sognata dai sonnambuli |
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Iacopo, cameriere di un takeway cinese dimentica la propria vita e la propria compagna, misteriosamente attratto dalla inferma Sahe. Giuseppe fantastica una storia d’amore con una ragazza che vede nuotare, solitaria, in mare. Ester, vittima di un’amnesia, spera di ritrovare nei sogni la memoria di un probabile amore e l’identità perduta e per questo cerca di passare nel dormiveglia il maggior numero di ore della giornata. Luz spende tutte le sue vacanze per assistere in una clinica Fabio, la cui malattia è l’incapacità di distinguere tra i vividi sogni e la realtà. “Tredici racconti visionari”: il sottotitolo del libro (Sleepwalking, Sironi, Milano 2002, pp.128, € 11,40), che segna l’esordio alla narrazione della poetessa romana Laura Pugno, vuole farci da guida nella lettura. Potremmo anche definirli tredici racconti di solitudini, comunicazioni a intermittenza, amori mancati, impossibili o immaginati, vuoti e distanze. Forse tredici atmosfere, non solo nel senso impressionistico del termine, ma anche, e soprattutto, nel senso geofisico. Tredici esistenze sfiorate soltanto per un attimo, ai loro confini, dal contatto con l’altro e dal fantasma del dialogo. I personaggi di Sleepwalking vivono in una dimensione apparentemente ermetica di isolamento e impossibile ricerca di senso; le loro esistenze, se hanno qualcosa del film o del video (un tema che molti lettori hanno voluto declinare per questi short cuts), sono situate sul retro della pellicola, sul lato non impressionato, dove la vita, la realtà con le sue possibilità di “fare storia”, arriva a malapena a baluginare non tanto da un “aldilà” quanto, più semplicemente, da un “di là”. In questo senso può essere letto anche il sottotitolo di questi racconti: la possibilità, soltanto nella visionarietà, di vedere, di frantumare il vetro opaco dell’impossibile messa a fuoco di un senso. Ed è una visionarietà ipnotica, verso cui questi personaggi, ragazzi e ragazze, si predispongono con un impegno metodico o un’inclinazione cieca. Ha fatto bene, chi lo ha fatto (Tommaso Ottonieri), a parlare di “rumore bianco”, ma a differenza di quanto accade nell’omonimo celebre romanzo di De Lillo, qui il white noise, l’interferenza, è quella della vita, sopraggiunta sul lato opaco del tape, in forma di visione, sogno o memoria, spesso in si-tuazioni di sonno o dormiveglia (il sonnambulismo del titolo). A ospitare queste storie sono spazi attraversati improvvisamente da “eccezioni”. Isolate tra loro e dallo sfondo, quasi tutte queste presenze appaiono legate da corrispondenze indecifrabili e tracciate dalle invisibili traiettorie dello sguardo o dalle più elementari dinamiche del tatto. I corteggiamenti e le relazioni sono quasi animali, nella loro delicatezza o, al contrario, nella loro violenza. Sono questi perlopiù uomini e donne “mutilati” da sempre, sottilmente dominati dalla percezione tenue di una privazione, dalla subcoscienza della mancanza di ciò che non appartiene (più) alla loro natura. Appaiono così in una condizione d’attesa, di ipersensibilizzazione verso qualcosa che non c’è ma i cui segnali si sentono provenire dalla parte aversa dell’esistenza. Ognuno è un individuo non più definibile come videns o cogitans, tantomeno habilis; bensì, tutti vedono sapendo di non vedere (o viceversa), ricordano sapendo di non ricordare e, spesso immersi nel sogno, allenano la memoria in attesa della memoria, la vista in attesa della vista, il corpo in attesa dell’esperienza. Così, i protagonisti dei racconti più riusciti del libro (take-away, ustioni, la perfezione, argento, oasi), appaiono come vaganti in un “dopo”, concentrati in un tentativo di risillabare qualcosa che non c’è più ma che è sentito come necessario. Lo fanno a partire appunto da una rieducazione ai fattori elementari dell’esistenza, alle sue sillabe: i loro atti ipnotici o magici o apparentemente gratuiti hanno a che fare con l’acqua, la luce, il sole, il legno, il bosco, l’aria, le parole e, più di tutto, il sonno e il sogno.
La paratassi, a volte estrema, della scrittura della Pugno, se da una parte restituisce benissimo questa scansione elementare degli atti, delle esperienze e delle sensazioni, dall’altra costituisce una rete sintattica che ben corrisponde alla realtà “orizzontale” da cui questi personaggi sono imbrigliati. Si verifica quindi una sorta di lotta tra i personaggi e la realtà in cui sono (in questo caso anche sotto specie grammaticale) calati. Più che spiegare novecentescamente la realtà con il sogno, è, al contrario, la realtà a mostrare le tracce di un sogno, di una forza sottostante e tutta umana che non si arrende alla deriva dei sentimenti e che pare affondare le radici nel luogo in cui le ragioni sono sciolte da ogni Ragione. È un istinto vitale che non abdica all’insensatezza e che non gioca pirandellianamente con le maschere, bensì le straccia tutte come indizi di secondo grado, inutili reperti in una quest che ha individuato il proprio oggetto in qualcosa che nel tempo di questi racconti (il nostro tempo) pare messo definitivamente tra parentesi, ovvero – come si legge nei risvolti di copertina non firmati – «il senso stesso delle cose, la loro consistenza fisica, la vera natura spirituale e corpo-rea dei personaggi». Per una volta, si condividono le conclusioni dell’editore: Sleepwalking è davvero un esordio narrativo dalla forza non comune. |
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