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Esordienti italiani alla conquista dei lettori più attenti
Federico Chiara, Vogue, 01.07.2003
Segni particolari: allergia alla normalità e voglia di mettersi in gioco….
Sono spesso pubblicati senza clamori. Ed è grazie al tam-tam che arrivano diritto al cuore dei lettori, spiazzandoli o travolgendoli con l’urgenza della novità. Perché i libri dei migliori esordienti italiani sono così: vitali, sperimentali, coraggiosi. Soprattutto quando forzano i binari della vita regolare, raccontando impressionanti deragliamenti, storie telluriche ed esplosive. Come quella di “Meduse” (Bompiani), per esempio. In cui Giancarlo Pastore affronta senza compiacimenti esibizionistici la fissazione paranoide di un ragazzo ossessionato dalle proprie evacuazioni. “Mi rendo conto della difficoltà del tema”, spiega l’autore torinese, che ha lavorato a lungo con pazienti psichiatrici, analizzandosi contemporaneamente con la terapia di gruppo junghiana. “Ma non bisogna giudicarlo in base al primo impatto. E’ un romanzo ambiguo, contrastato: perché accanto al dolore, alla solitudine assoluta del protagonista, appare il lirismo, l’innamoramento della vita. Insieme al veleno, l’antidoto”. Il “male di vivere” descritto da Pastore brulica di inevitabili riferimenti letterari – “Morante, Bachmann, Easton Ellis, la “Trilogia della città di K” di Agota Kristof” – e si presta a diventare un caso letterario controverso, di quelli alla Houellebecq. A buon intenditor….E’ invece un giovanissimo barbone, fuggito da una Taranto chimica dopo un abbandono d’amore per approdare a una Roma etilica, il protagonista di “Neppure quando è notte” (Pequod) del venticinquenne Mario Desiati. Una storia tragicomica, scritta con linguaggio crudo e letterariamente ardito, in cui germinano altre storie, quelle degli amici stralunati, “perdenti” d’ogni età e genere: prostitute eroinomani, accattoni, dissociati, senzatetto alcolizzati. Intrisi d’alcol sono pure i protagonisti di due romanzi appena pubblicati: “Perso l’amore (non resta che bere)” di Marco Rossari (Fernandel) e “La colpa” di Deborah Gambetta (Rizzoli). Il primo vive degli scatenati monologhi di un ventiduenne milanese, nipote ideale di Bukowski, cui il perduto amore ha lasciato un vuoto così grande da non poter essere colmato da nessuna sbornia. Non si pensi a una storia triste, però. Lo stile brillante e allucinato della narrazione, infatti, vena d’ironia il flusso drammatico dei ricordi. Il romanzo di Gambetta, invece, è una discesa agli inferi senza ritorno. E senza eufemismi. L’autice dà un nome al male di vivere: Andrea. Fratello della protagonista, nonché suo amante dagli anni dell’adolescenza a quelli dell’università. E’ questa la colpa, il tabù infranto, che in un vortice di eros e disperazione isola i protagonisti, bruciandoli in un ossessivo ricercarsi e negarsi. Plumbeo, a prima vista, anche Il suicidio di Angela B. di Umberto Casadei (Sironi). Ma, a dispetto del titolo, il testo è un’operazione in bilico tra metaletteratura e dossier, tra “fictional” e “non-fictional”. Prendendo la morte di un diciassettenne come pretesto, il libro presenta materiali letterari difformi per stile e registro, riuniti da due immaginari editors (uno dei quali deceduto durante il lavoro). E il gioco di scatle cinesi dà vita a un romanzo polifonico dove la verità sfugge nella molteplicità dei punti di vista. Ma non di solo pathos si scrive, oggi. Una boccata d’aria fresca – e di vita, divorata al ritmo pop di canzoni, oroscopi, spot, programmi radio, look modaioli – viene da un cpy torinese, Luca Bianchini, con “Instant love” (Mondadori). Il romanzo scorre come un film (e presto lo diventerà) intorno all’intreccio amoroso che lega il giovane Rocco prima a Viola e poi al di lei fidanzato, Daniele. “Basta che non si parli d’inquietudini generazionali”, specifica Bianchini. “Il contesto è quello dei trentenni, d’accordo. Ma lo sperimentarsi è universale, come lo sono certi sentimenti e domande. Insomma, a chi chiede “perché”, il libro risponde “perché no?”.
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Testo riprodotto unicamente a scopo informativo.

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