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Niente paura, il romanzo italiano c'è
Roberto Carnero, L'Avvenire, 15.07.2003
Bella domanda quella che fa da sottotitolo al libro di Philippe Forest, «Il romanzo, il reale», pubblicato da Rizzoli nelle "Holden Maps", la collana della scuola di scrittura di Baricco: «Un romanzo è ancora possibile?».

Domanda solo apparentemente ingenua o retorica. Del resto di «morte del romanzo», da noi, parlano da tempo fior di critici.
Forest però è francese e si è formato sui testi della neoavanguardia legata al gruppo di "Tel Quel", in particolare sui romanzi dell'autore che di quel movimento è stato il maggiore esponente, Philippe Sollers.
Insomma, gente che, dagli anni Sessanta in poi, si è divertita a smontare il romanzo come un giocattolo, per mostrarne alla fine l'inservibilità. Perciò non stupisce, in uno come Forest, la dimensione problematica di una riflessione sul romanzo attuale: se al tempo delle neoavanguardie il romanzo sembrava prossimo alla scomparsa, oggi, per ragioni opposte, esso appare altrettanto in crisi, in quanto «parola obbligatoria, invadente, proliferante, quindi fastidiosa per la sua pretesa di assorbire ogni forma di linguaggio».

"Romanzo", cioè, è diventata una categoria onnicomprensiva, alla quale, per esempio, gli editori attribuiscono il potere quasi magico di far vendere un libro. Quante volte l'etichetta viene posta in modo fraudolento su volumi che tutto sono tranne che romanzi. Tuttavia, per limitarci alla narrativa vera e propria, rimane da chiedersi quale sia la via attraverso cui l'autore possa accostare veramente la realtà. Senz'altro non è possibile che ciò avvenga in libri che cercano di dare, attraverso l'esagerazione e il ricorso a toni esasperati, un'impressione - ma solo un'impressione - di iperrealtà. Neanche possiamo ipotizzare un ritorno a poetiche neorealistiche che facciano del "vero" e del "reale" un feticcio, magari annettendo a questo lavoro una valenza sociale o politica.

Evidentemente la narrativa non può limitarsi a enfatizzare o a fotografare la realtà, deve piuttosto reinventarla nel suo specifico, cioè attraverso il linguaggio.
Evidentemente si potrebbero fare diversi esempi di testi che vanno in tale direzione.

Mi limito a indicare, nel variegato e sovraffollato panorama della produzione narrativa italiana attuale, due collane.
La prima, presso Rizzoli, è "Sintonie", diretta da Benedetta Centovalli: è l'unica collana interamente di narrativa italiana pubblicata da un grosso editore.
La seconda, da una casa editrice pressoché neonata, Sironi, si chiama indicativo presente ed è diretta da Giulio Mozzi: è la novità più significativa dell'ultimo anno dal punto di vista editoriale, per quanto riguarda la narrativa italiana.

La strada che entrambi questi progetti sembrano perseguire è quella delle scritture di confine, cioè di scritture spurie, che contaminano tra loro i diversi generi. L'ambizione è quella di raccontare la realtà italiana di oggi, e per farlo i curatori e gli scrittori prescelti hanno capito che il romanzo va sottoposto ogni volta a un serio ripensamento.
Non sempre i risultati sono all'altezza dei programmi, ma in molti casi appaiono tutt'altro che trascurabili. Ecco, leggendo questi libri (faccio, alla rinfusa, i nomi di Bregola, Trevisan, Permunian, Caliceti, Gardini, Casadei) sembra di poter rispondere affermativamente alla domanda posta da Forest.
Sì, il romanzo è ancora possibile.
A patto però che si abbia la capacità di osare.
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Testo riprodotto unicamente a scopo informativo.

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