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Orchestra Casadei project
Francesca Amé, Il Domenicale, 21.06.2003
Lui si chiama Umberto, non suona ma lavora in un supermercato e fa il proiezionista. Ha scritto un libro dal titolo vagamente agghiacciante, ma, fidatevi, è un capolavoro. Parola di Giulio Mozzi.
Ti arriva un libro che al principio ti spaventa. Il titolo non è dei più incoraggianti, la mole neppure. Dell’autore sai poco o nulla: è un ragazzo – dice la nota – che vive e lavora a Padova (come addetto in un supermercato di giorno, come proiezionista in un piccolo cinema la sera). È Il suicidio di Angela B. (pubblicato per la collana indicativo presente di Sironi, Milano, tel.02/5845980, pp. 565, euro 14,50) di Umberto Casadei. Lo inizi a leggere e qualcosa (per fortuna) non torna. Continui. Per altri giorni (quattro o cinque), finché non lo finisci. Poi ti stupisci, perché in fondo ti è piaciuto (molto per alcuni aspetti, meno per altri). La storia, in estrema sintesi, è questa: Angela Burzo, diciassettenne della provincia patavina, una mattina, anziché recarsi a scuola, prende un autobus che la porta in periferia. Giunta in una zona industriale, si getta da un cavalcavia, apparentemente senza motivo. Il suicidio di Angela B. non è tuttavia la storia (gli amori, gl’inganni, le illusioni) di Angela: è la storia, piuttosto, di quello che è stato detto e scritto sulla sua morte. Romanzo-dossier e complessa costruzione architettonica, il libro di Casadei è prima di tutto una raccolta di testi: un labirinto della parola dove i protagonisti della vicenda (compagni di classe, adulti, docenti, giornalisti) dicono la loro (opinione, pensiero, cronaca, dolore, insofferenza). Non dettagli, ma emozioni. Non fatti, ma pensieri (spesso da inseguire nei fluenti monologhi dei personaggi che, da figurine del romanzo di Casadei, si trasformano in scrittori – dunque artefici – del loro romanzo). Inutile aspettarsi una fine, inutile cercare una soluzione. Il materiale è tutto lì, magma cangiante nelle mani del lettore.

Un «eterogeneo assemblaggio»
L’autore però ha cercato (bontà sua) di darci una mano: il libro si apre con le Note istituzionali attorno a Il suicidio di Angela B., di Umberto Casadei dove si spiega che «l’eterogeneo assemblaggio» contiene Il suicidio di Angela B. scritto da Gianni Dezanni, compagno di classe di Angela, una postfazione di due editor della casa editrice Monopolio (mai nome fu più azzeccato), che vorrebbero pubblicare presto il testo di Dezanni, uno scritto di Pier Giorgio Izza, un altro compagno di classe di Angela. A contorno, come se non bastasse, la trascrizione di una raffica di e-mail che gli editori della Monopolio si sono scambiati prima della redazione del testo di Dezanni, articoli di cronaca sulla vicenda (tratti dal fantomatico Il Nord Est), i “fiori” (omaggi on line degli amici alla ragazza scomparsa) e il testamento della fanciulla. Infine, «le discariche»: «scorie e fallimenti generativi che – dice Casadei – hanno valore di testimonianza». Complicato? Forse sì. Ma Il suicidio di Angela B. – quello di Casadei intendo – è come un gioco: per gustarlo bisogna accettarne le regole, senza discutere. «È la storia di come il libro sia venuto, anzi, stia venendo, agli occhi di chi legge, alla luce; e di come sia stato possibile questo incontro. Quanto alla letteratura: io, per me, so soltanto che ho fatto una forma, che l’autoriflessione e la metanarrazione andavano a loro volta sabotate (reificate), e che d’altra parte avevo voglia di giocare, oltre che con le scritture, i testi, l’intertestualità, anche con l’oggetto libro integralmente inteso. Insomma, volevo fare casino», afferma testualmente l’autore nel corso di un’intervista on line (sono entrata nel gioco). Di tutto il romanzo vi sono parti estremamente piacevoli – è abile Casadei nella mimesi dei diversi linguaggi – altre noiose (e la causa è quasi sempre l’eccessiva lunghezza). Parodia dell’approccio tecnologico della costruzione letteraria contemporanea (pregevole la pagina dedicata agli stili della videoscrittura), il romanzo di Casadei è costituito da diversi sottoinsiemi (tali possono essere considerate le numerose sezioni) che generano di fatto «controspinte, sommosse, salutari insurrezioni; ma è questa prospettiva quella per cui il libro – mi raccomando: libro –, cerca di farsi storia – mi raccomando: storia».

Una sorta di capolavoro? Chissà
Esperimento narrativo costruito in solitudine (scritto di notte, saltando il sonno) Il suicidio di Angela B. ha ammaliato Giulio Mozzi, intrepido e pionieristico editor di Sironi per la collana indicativo presente (che ha un anno di vita ed è, come si è già detto sul Dom, tra le più convincenti realtà editoriali della nuova narrativa italiana). «È un libro che appartiene alla categoria dei capolavori – spiega Mozzi, che da tempo segue le vicende letterarie del suo conterraneo – ossia di quei testi che, per dirla con Franco Moretti, appaiono molto voluminosi, mettono in discussione la stessa forma narrativa, sono spesso incompiuti, abnormi e fanno perno sulla descrizione di una realtà micro per spiegare la realtà macro». L’idea è intrigante e in questo senso (solo in questo senso) si può dire che l’opera di Casadei è in effetti un capolavoro. Nasce infatti come ipotesi, come tentativo (a tratti frustrante, sia per lo scrittore quanto per il lettore) di costruire un discorso su qualcosa che non sia finzione. Da qui la denuncia – evidente nel grido finale – che chiunque cerchi d’indagare il silenzio della vita vissuta (nel libro, il suicidio di Angela) compie un’oscenità. Eppure il romanzo di Casadei rappresenta anche una delle possibili risposte all’imperativo categorico su cui Giulio Mozzi ha saldamente eretto il suo indicativo presente: «raccontare l’Italia così com’è». Accanto a validi lavori che sembrano reportage letterari (Dopoguerra di Guido Barbujani, Racconti felici di Davide Bregola), a scrittori visionari come Vitaliano Trevisan e Laura Pugno (rispettivamente: Standards vol. I – non dimentichiamo che Trevisan, probabilmente il più talentuoso dei pubblicati, è anche un autore di scuderia Einaudi – e Sleepwalking), o a libri che ricostruiscono, innovandola, la tradizione del romanzo “civile” (penso al Livio Romano di Porto di mare) Casadei si trova a metà strada e rimane, lo dice il suo editor: «uno dei pochi autori che non ha voltato le spalle alla ricerca della verità». Si colloca, insomma, sulla stessa strada di Tiziano Scarpa, di Antonio Moresco, di Dario Voltolini. Tra i pochi – per dirla con Giulio Mozzi – che nelle storie, nella forma, nella ricerca letteraria ancora «rischiano la pelle». E il rischio, si sa, è bello.
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Testo riprodotto unicamente a scopo informativo.

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