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Sulle strade di Padova il suicidio di Angela B. si trasforma in dossier
Nicolò Menniti-Ippolito, Il Mattino di Padova, 21.05.2003
L'esordio narrativo di Umberto Casadei commesso di 37 anni con studi sociologici alle spalle «Ho iniziato per caso frequentando un corso di scrittura creativa»
All'elenco, ormai nutrito, degli scrittori veneti si aggiunge un nome nuovo, quello di Umberto Casadei, che esordisce con un voluminoso e per nulla banale Il suicidio di Angela B. (Sironi pp.565, 14,50), che verrà presentato alla Feltrinelli di Padova domani alle 18.
Un esordio di più di cinquecento pagine, sicuramente ambizioso, in cui l'editore crede molto, tanto da scommetterci sopra.
Umberto Casadei è padovano, ha 37 anni, fa il commesso in un supermercato e il proiezionista al cinema, ma soprattutto scrive. «Ho cominciato tardi -racconta- molto più tardi di tanti altri autori che ho conosciuto in questi anni. Anche come lettore di romanzi ho cominciato tardi, praticamente dopo la laurea, primo leggevo soprattutto saggi». E la formazione sociologica, tra l'altro, nel libro non è negata, anzi, viene utilizzata, anche se tutta in forma narrativa.
«Per caso -continua Casadei- ho cominciato a frequentare un corso di scrittura creativa, quello di Giulio Mozzi, e da lì, sette-otto anni fa è cominciato tutto».
Il "per caso" è relativo, perché Casadei aveva già scoperto qualcosa. «Leggevo molto -dice- ma il mondo della scrittura mi sembrava lontano, gli scrittori dei marziani, così per liberarmi da questa impressione mia sorella mi ha iscritto a questo corso ed ho scoperto che gli scrittori sono veramente dei marziani, o almeno lo è Mozzi». Ma dopo aver cominciato, ha continuato. «Per molto tempo -dice- ho lavorato ad un romanzo che ha continuato a crescere di dimensioni, e più cresceva più mi sfuggiva di mano, avevo bisogno di aggiungere cose, che però non si riuscivano a racchiudere in un disegno coerente fino in fondo».
«Mozzi -dice Casadei- ha portato il mio libro a molte case editrici, e tutte si sono interessate. Dalla Mondadori ho avuto dei consigli, delle indicazioni di lavoro, ma alla fine ho capito che non riuscivo a chiudere il libro ed ho deciso di mollarlo».
Un colpo duro, anche perché era un libro costato 3 anni di lavoro, ma anche una esperienza importante. «Ho capito -dice Casadei- che avevo problemi con la figura del narratore onnisciente, che non riuscivo a farci stare dentro tutto senza contraddizioni, ed allora ho pensato di lavorare in modo diverso».
Ed in effetti questo Il suicidio di Angela B. è un libro-dossier, fatto di parti diverse, scritte da persone, nella fiction, diverse. «Tutto è partito da un piccolo testo, un biglietto di addio, che mi ha dato Mozzi: Cari miei, non è colpa vostra, se questo è il vostro pensiero. Non è neanche colpa mia. Non è colpa di nessuno. Non c'è colpa, in queste cose. Vi saluto. Accanto al testo vi era la notizia di un suicidio. Lui mi aveva chiesto di farne un racconto che sarebbe dovuto finire nel suo libro Fiction. Io invece ho aspettato troppo a cominciare, e quando ho cominciato ho scritto troppe pagine per un racconto, e così è nata la prima voce che racconta la storia, quella di Gianni».
Ma poi la vicenda del suicidio ha altre voci: articoli di cronaca, commenti di scrittori e psicologi, anche abbastanza riconoscibili (chi sarà Vera Acqua?), compagni di classe, genitori, a comporre un quadro complesso. «Quando ho cominciato non c'era un disegno preciso, è arrivato un po' alla volta, poi quando ho capito realmente la struttura che il libro doveva avere ho dovuto scrivere le parti che mancavano, per esempio quelle degli editor che curano la pubblicazione del libro, o quella della madre di Gianni, che mi consentiva di affrontare un elemento nuovo».
Ma se il gioco letterario delle voci diverse è elemento del libro, certo non lo esaurisce. «Il gioco delle parodie, della creazione di voci narranti può essere anche divertente -dice Casadei- ma dopo un po' è stucchevole. Così ho cominciato a metterci dentro le cose che volevo dire». E che riguardano un po' tutto, perché toccano la letteratura, il rapporto tra realtà e finzione, tra lingua e pensiero, ma anche la articolazione della società, i valori, le ipocrisie, i desideri. «Quello che mi colpisce della nostra società -dice Casadei- è che è dominata da un sostanziale relativismo etico, dall'individualismo, eppure anche da una sorta di omologazione, da un assoluto conformismo. Questo ho cercato di tradurlo nel libro: è come se tutte queste voci diverse dicessero in fondo anche la stessa cosa». Tanto che a ben vedere poi il dato di partenza, cioè Il suicidio di Angela B. nel libro è contemporaneamente presente e assente, è ciò intorno a cui tutti ruotano, ma anche ciò che nel loro individualismo tutti dimenticano. E non per nulla il finto editor del libro dice, ad un certo punto, che il libro stesso è interessante perché non parla di niente. Ed in questo probabilmente si individua il legame di Casadei con quella che è la tradizione della letteratura postmoderna, in particolare americana.
«Sono sempre stato un lettore disordinato -dice Casadei- ma i postmoderni americani, Pynchon, De Lillo, Barthelme sono stati la mia vera scoperta personale. Prima avevo letto più che altro le cose che leggeva mio padre, per esempio Saul Bellow, oppure quello che leggevano tutti come Cent'anni di solitudine». Ma in questo disordine ci sono altre cose: «Per esempio Volponi mi ha molto colpito. L' ho letto per caso la prima volta: in un momento di arrabbiatura politica mi è capitato in mano Le mosche del capitale e non ho potuto fare a meno di leggerlo. Il suicidio di Angela B. è però tutto padovano, come ambientazione. Si riconoscono i luoghi, le case, le scuole frequentate dalla giovane suicida Angela e dai suoi amici, i giardini. Si riconoscono anche alcuni personaggi. Mi sembrava tutto così evidente, che non aveva senso nascondere, mi è sembrato più giusto giocarci sopra, anche con i nomi. Probabilmente molte realtà che descrivo sono comuni ad altre realtà ma io conosco Padova e credo anche che alcuni ambienti descritti siano legati alla identità di questa città».
Un città che assume a tratti toni volutamente grotteschi, come accade al Veneto descritto da Permunian o da Trevisan. «Ho letto entrambi -dice Casadei- e da questo punto di vista ci sono delle consonanze. Forse il rapporto con Trevisan è più stretto, per esempio ho imparato a conoscere Thomas Bernhard attraverso la sua scrittura e questo mi ha influenzato al momento di costruire una delle voci narranti del mio libro». Che è libro, appunto, di voci, ma anche di lingue. Lingue aspre come quelle dei diciassettenni, eleganti ma un pò vacue come quelle degli scrittori, esasperate, inquiete. «Trovare la lingua di Gianni per esempio -dice Casadei- non è stato facile. Volevo un italiano che avesse gli elementi del dialetto, che rendesse conto di quella mancanza di parole che caratterizza i ragazzi e che rende loro impossibile dialogare intorno a ciò che realmente sentono».
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Testo riprodotto unicamente a scopo informativo.

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