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Conversazione con Umberto Casadei e Giulio Mozzi
libriAlice.it, 20.05.2003
libriAlice.it
A proposito di Il suicidio di Angela B. di Umberto Casadei.
Il suicidio di Angela B., romanzo d'esordio di Umberto Casadei (Sironi, pp. 565, 14,50 euro), promette di essere uno dei "casi letterari" del 2003. Si tratta di un romanzo-dossier. Due editor della casa editrice Monopolio - Mario Parecchio e Rinaldo Qualcosa - raccolgono una quantità di materiali inerenti il suicidio di Angela Burzo, diciassettenne di Besana, studentessa liceale, gettatasi una mattina dal cavalcavia della zona industriale. Il corpo principale del dossier è costituito da due lunghi testi - un vero libro nel libro - di Gianni Dezanni, compagno di classe di Angela. Vi si aggiungono vari ritagli di giornale, una lettera di Lorenzo Trovato (il camionista che raccolse il corpo di Angela), un lungo sfogo di Chiara Beronda Dezanni (la madre di Gianni), un "saggio sull'amore" di Pier Giorgio Izza (anche lui compagno di Angela, forse omosessuale, sospettato di averla plagiata), vari brevi pezzi scritti da altri compagni di classe e amici di Angela per il "sito funerario" allestito in suo onore, su iniziativa della professoressa d'Italiano Elvira Bidelli.

Di questo libro assai curioso e bizzarro parliamo con l'autore (Umberto Casadei, 37 anni) e con il curatore della collana nella quale è stato pubblicato (indicativo presente; Giulio Mozzi, 43 anni), entrambi padovani.

Come è nato questo romanzo?
Casadei
Il romanzo nasce tre anni fa da un'imbeccata di Giulio Mozzi a quell'epoca alle prese con la costruzione del suo Fiction, da un lato, e con il mio esaurimento nervoso dall'altro. Avevo lavorato circa tre anni attorno a un altro romanzo e non riuscivo a venirne fuori. Alla mala parata, nell'imminenza cioè del crollo, Giulio mi lanciò una specie di salvagente, cioè mi propose di fare la guest star, per così dire, dentro al suo libro, pullulante per altro di un sacco di identità immaginarie. Mi consegnò il dattiloscritto di Fiction affinché me ne facessi un'idea, ma prima di congedarsi, mi fece dare un'occhiata all'ultima pagina. C'era una piccola frase d'addio al mondo, firmata da una ragazzina di nome Angela, seguita da un brevissimo testo giornalistico, che documentava il suicidio avvenuto della stessa. Subito sotto, c'era scritto: "Lettera di Umberto", cioè del sottoscritto. Ho cominciato così, con l'idea di scrivere una lettera di una quindicina di pagine a una mia compagna di classe fittizia. Solo che...

... le pagine alla fine sono diventate più di cinquecento. Lei, Mozzi, se l'aspettava?
Mozzi
Direi proprio di no. Nel mio Fiction mi ero divertito a inventarmi una quantità di autori immaginari; tanto che, alla fine, avevo voglia di inserirvi un racconto veramente non scritto da me. Non solo a Umberto, ma a un certo numero di amici, feci avere la letterina di Angela: chiedendo loro di fingersi amici, compagni di classe, parenti, insegnanti di Angela; e di scrivere un breve testo indirizzato a lei. Io, per me, volevo tenermi l'omelia della messa funebre. Gli amici in generale nicchiarono, invece Umberto - qualche mese dopo - mi comparve davanti con un testo di un'ottantina di pagine. Che era poi l'embrione delle lettere che, nel Suicidio di Angela B., il ragazzo Gianni Dezanni scrive alla professoressa Elvira Bidelli. Successivamente il romanzo di Umberto è cresciuto su sé stesso, si è gonfiato, ha acquisito una forma sempre più ricca e complessa (e giocosa). Soprattutto dopo che, avendo iniziato il progetto con Sironi Editore, potei dire a Umberto: "Sono qui che ti aspetto".

Casadei, non la mette un po' a disagio questa situazione? Non teme di essere considerato un "clone" di Giulio Mozzi?
Casadei
Cosa vuole che le dica, Alice. Che io sia stato influenzato da Mozzi è poco ma sicuro. Se è per questo, tuttavia, ne ho a bizzeffe, d'influenze, e d'ogni tipo. Sono un clone multiplo. La verità è che ho avuto una notevole fortuna. Sono stato lasciato libero di fare e di brigare a piacimento, e non so quanto questo risponda a una situazione media, normale; ho potuto contare su collaboratori pazientissimi e disposti a fare gli straordinari, al punto, quasi, da cadere essi stessi dentro al libro, cioè di diventare a loro volta identità narranti, cioè autori - a un certo stadio della produzione, il meccanismo messo in moto, presentava aspetti inquietanti. Bisognava fermare la cosa. C'è stato da aspettare parecchio. La forma del libro, inizialmente, doveva essere differente da quella che presenta adesso. Io avevo in mente qualcosa come un libro completamente finto, solo che c'erano problemi legali, credo, per esempio, di attribuzione del diritto d'autore. Insomma sono stato messo nella condizione non tanto di fare o essere il clone di Mozzi, ma di clonare io Mozzi - clonazione che ho declinato, poi, nei modi più vari.

Ma, Mozzi, insomma, questo è un libro serio o no?
Mozzi
È un libro comico, e in quanto tale è un libro serissimo. Umberto ha lavorato con la libertà degli incoscienti, e noi - io, le mie varie identità, l'editor Paola Borgonovo, tutta la squadra di Sironi - abbiamo assistito allo spettacolo del suo lavoro con grandi speranze, qualche spavento, enorme trepidazione. Voglio dire: non succede tutti i giorni di vedersi nascere un capolavoro sotto il naso...

"Capolavoro" è una parola grossa. E un tantino abusata, ultimamente. Non c'è editore che non la spenda almeno due volte la settimana...
Mozzi
Sono d'accordo. Però, che cosa posso farci? Mi rendo conto che rischio di apparire ridicolo, ma posso pensare a questo libro solo come a un capolavoro. Non pretendo che sia un libro bellissimo e perfetto: ma sicuramente appartiene, per così dire, al "genere letterario del capolavoro". Come dice Franco Moretti nel suo Opere mondo: le "opere mondo", ossia i capolavori, sono libri lunghi, formalmente abnormi, spesso incompiuti (in genere per morte dell'autore: ma non abbiamo avuta questa fortuna), con ampie parti un po' noiose, di registro prevalentemente comico. Al Suicidio mancano solo le parti noiose...

Casadei, la responsabilità che Mozzi le carica sulle spalle è notevole. Lei crede davvero di avere scritto un capolavoro?
Casadei
Lei cosa ne pensa, Alice? Non lo so. Davvero. Le pare che possa rispondere a una domanda del genere? So che avevo delle cose in testa. Per esempio, che avevo problemi, grossi problemi con l'onniscienza. E avevo anche tanta rabbia. E voglia di divertirmi. E insoddisfazione. E paura, la paura del profano che già si è scottato una volta, e che tuttavia vive l'occasione che gli si è presentata come prima e ultima, sicché cerca, disperatamente, di dire tutto. Non volevo costruire una retorica, una prospettiva che fungesse da mediatore universale di tutte le singolarità che avevo in mente, di tutte le soluzioni di continuità che mi attraversavano.

Il "Suicidio" esce in una collana che, programmaticamente, punta a un corpo a corpo con la realtà: "indicativo presente". Tuttavia, sembra un libro il cui interesse sta soprattutto negli aspetti formali...
Mozzi
Ma: quando negli Stati Uniti escono i libri di Don Delillo o di David Foster Wallace o di Dave Eggers - che sono indubbiamente degli esperimenti con le forme narrative -, tutti dicono: "Ecco il grande romanzo americano che racconta l'America del profondo Middlewest, o della metropoli, o dei suburbi, o dell'incubo...". Invece, quando esce un romanzo italiano che fa anche esperimenti con le forme, tutti dico-no: "Ecco, i soliti scrittori malati di formalismo". La verità è che non è possibile, oggi, e non è stato possibile mai, parlare del mondo senza tentare - rischiando - esperimenti con le forme e con la natura stessa della narrazione. Casadei Gli aspetti formali, strutturali. Sì. E gli elementi metanarrativi disseminati un po' ovunque. Da un certo momento in poi hanno preso il sopravvento. Ma lo hanno preso quando quattrocentoventi delle cinquecentosessanta pagine de libro erano state scritte. Il libro nasce per ammassi e rigurgiti linguistici che si sovrappongono; non è in prima istanza idea strutturale, visione di una forma, ma principio di una specie di viaggio via parola; è attraverso la lingua - scritta - dei differenti autori che compongono il libro che viene fuori il mondo. Cioè viene fuori il mondo attraverso il rapporto, mostrato nella scrittura, che tutte queste differenti persone hanno col mondo. Non mi interessava rappresentare un mondo sociale materiale fittizio, irriconoscibile, d'invenzione, né mi interessava scandagliare soltanto quella parte del mondo. In altri termini, sono molto implicato in quel che ho scritto e quel che ho scritto non soltanto riguarda il mondo in cui vivo - dal quale spesso mi tocca difendermi -, ma sta dentro allo stesso. Credo che si senta.

Casadei, qual è la sua formazione? E com'è arrivato alla scrittura?
Casadei
Sono laureato in scienze politiche, con una tesi in storia delle idee economiche. Ho studiato sostanzialmente economia e sociologia, materie che oggi apprezzo più di allora. Alla scrittura ci sono arrivato tardi, in pieno marasma, a ventott'anni suonati (non pare, mi dicono, ma ne ho comunque trentasette), quando mia sorella ha pensato bene, nel 1995, di regalarmi l'iscrizione al primo corso di scrittura creativa apparso in città, a Padova. L'interessamento nei confronti della scrittura ha coinciso con la fine degli studi, con l'uscita di casa e con l'entrata nel cosiddetto precariato, in cui oggi più felicemente che ieri, persevero.

Mozzi, Casadei è dunque un allievo che ha superato il maestro?
Mozzi
No, è un fratello che ha stupito una sorella. Dello stupore mio, poi, potrei parlare per giorni...
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Testo riprodotto unicamente a scopo informativo.

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