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Un mondo antico, un bimbo solo
Stefano Lecchini, Gazzetta di Parma, 28.03.2003
«Così ti ricordi di me», romanzo di Nicola Gardini edito da Sironi
Quel che ci si può aspettare dall'esordio nella narrativa di un poeta (che abbia al suo attivo un paio di pregevoli raccolte, e al contempo diriga, insieme a Nicola Crocetti, la più diffusa rivista del settore, «Poesia», è sicuramente una prova attentissima ai valori fonico-ritmici della scrittura, ma forse un po' debole sotto il cosiddetto profilo diegetico - degli snodi, del costrutto della narrazione. Col suo romanzo «Così ti ricordi di me» (Sironi, nella collana «indicativo presente» curata da Giulio Mozzi), Nicola Gardini (nato in Molise nel 1965, ma da anni residente a Milano) fa sì, come vedremo, che questi timori risultino in qualche modo infondati.

Siamo a Ponte Nero, uno dei tanti paesi del nostro meridione alle soglie dei quali Cristo dovrebbe essersi fermato. Quattro case schiantate dal sole, campi con qualche ulivo e albicocco, e là in fondo la striscia del mare. Però c'è la televisione, arrivano i fotoromanzi col povero Franco Gasparri, e l'omologazione generale sembra sul punto di penetrare anche qui. Dovremmo essere nel 1974: si dica pure «dovremmo», perché se la Rai il sabato sera trasmette «Milleluci» (primi mesi del '74, per l'appunto), i protagonisti conoscono a memoria e cantano con tutto il trasporto «L'importante è finire», che Mina incise giusto un anno dopo. Comunque, metà anni Settanta: e non se ne parli più.

A Ponte Nero, giungono dall'America (anzi, come in paese si dice, dalla Merica) Oreste, sette anni, e sua mamma Rosaria, che vuole lasciarsi alle spalle i postumi di un matrimonio fallito. Suo padre è morto: ritrova la madre e Lia, la sorella - ma il peso dei ricordi che Ponte Nero sprigiona è tale, e talmente insopportabile, che si vede costretta nuovamente ad andarsene. Suo figlio così resta solo, in mezzo a parenti e vicini che non gli è e non gli sarà facile decifrare. E il libro racconta la solitudine di questo bambino: giochi crudeli con gli insetti, il soffio della superstizione tutt'intorno, la costruzione di una capanna come regno separato; soprattutto, la scoperta delle prime pulsioni sessuali, maieuti maschi e femmine (la sedicenne Meri, figlia di Lia), indifferentemente - la distinzione non sembra avere troppa importanza.

Tutto si pone sotto il segno di un'ambiguità dolorosa. Ma che forse, per quanto toccata dall'ala nera della morte, non sarà destinata a rivelarsi poi così vana.

Come si vede, non vi è intreccio - o, se vi è, risulta ridotto ai minimi termini. Ma il romanzo del Novecento ha mostrato di sapersi sviluppare, più o meno egregiamente, anche al di là di ogni intreccio. Che potrà semmai riaffacciarsi nei nodi, nelle «avventure» interiori della voce che racconta.

Ora, benché risulti declinata al «neutro» della terza persona (e si intenda «neutro» nell'accezione in cui lo intendeva Maurice Blanchot, il grande critico francese scomparso, da quella stessa invisibilità dietro cui si era da anni trincerato, il 20 febbraio scorso), ci vuol poco a capire che la voce narrativa di «Così ti ricordi di me» ha in realtà fatto proprio il punto d'osservazione del giovanissimo protagonista.

Questa prosa piana, apparentemente disadorna, segmentata in una paratassi pulviscolare che raffredda, almeno in superficie, la temperatura del racconto, «traduce» in realtà lo sguardo di Oreste, cioè quanto Oreste sembra assorbire del mondo: anche se poi i nessi logici subiscono una drastica messa fra parentesi, e, dentro lo scorrere apparentemente quieto della voce, il disordine pulsionale preme quasi senza tregua - fino agli abissi della vergogna, fino alle vette dell'estasi.

Così, mentre i suoni del libro si moltiplicano (e in questo gioca un ruolo decisivo la malia del dialetto, che Gardini ci fa sentire sul punto di eclissarsi per sempre), il timbro forte che si imprime nella mente del lettore è proprio quello che accompagna il «farsi» (ancora, in qualche modo, impersonale: in qualche modo, lo si è visto, «neutro») dell'esperienza di Oreste: piega espressiva che, di riflesso, non smette di cercarsi, spostando incessantemente il proprio punto di equilibrio - e in questa ricerca disegna, non senza profitto, l'itinerario di una difficile educazione alla vita.
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