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Silvio Garattini: "Verdetto finale: l'omeopatia non funziona"
Marco Pivato, La Stampa Tuttoscienze, 21.10.2015
Un libro-denuncia sull'inconsistenza di prodotti che illudono milioni di persone.

Sono 24 milioni le confezioni di prodotti omeopatici vendute in un anno in Italia, con due milioni e mezzo di utilizzatori abituali. Numeri ragguardevoli, se è vero che l'omeopatia, alla prova di una sterminata letteratura scientifica, è solo «acqua fresca». E questo è il titolo - «Acqua fresca? Tutto quello che bisogna sapere sull'omeopatia», Sironi - del saggio a cura di Silvio Garattini, medico e direttore dell'Istituto farmacologico Mario Negri di Milano. Libro, di sicuro, destinato a far discutere, come sa bene Garattini, già denunciato in passato per le dichiarazioni contro i rimedi alternativi alla Federazione degli ordini dei medici.

Professore, lei non è il primo a creare forti malumori, vista la volontà di informare correttamente il pubblico sull'omeopatia: cosa ribatte ai critici?

«Non sono il primo né sarò l'ultimo degli accusati di ledere gli interessi degli omeopati. Piero Angela, per avere detto le mie stesse cose, ha passato anni di procedimenti giudiziari prima di essere assolto dalle accuse di diffamazione».

Lei definisce il dibattito sull'omeopatia una «discussione infinita». Ma cosa rimane da discutere, una volta eseguite le prove che la scienza ha a disposizione, per fornire un giudizio incontrovertibile?

«È questo il problema: trattandosi di rimedi che non contengono principio attivo, o in quantità infinitesimale, la legge richiede una documentazione semplificata per l'approvazione all'immissione in commercio e non c'è l'onere di dimostrare l'efficacia, per gran parte di questi, ma solo l'innocuità».

Se non c'è l'onere di provare l'efficacia per la commercializzazione, c'è però l'onere, da parte dei ricercatori, di spiegare se e perché quei rimedi non sono efficaci: lei cosa risponde?

«Gli omeopati sostengono che il fatto di non sapere come funziona l'omeopatia, o non sapere come dimostrarlo, non significa che non funzioni. La medicina basata sull'evidenza, invece, ha condotto centinaia di studi: ritengo che la parola conclusiva sia stata quella della rivista "The Lancet", già nel 2005, con un editoriale celebre: "The End of Homeopathy" (La fine dell'omeopatia, ndr). L'articolo prende in considerazione 110 studi clinici che hanno confrontato la cosiddetta "allopatia", cioè i principi della medicina classica, con il placebo e altrettanti studi che hanno confrontato omeopatia con placebo. Da ciò si ha avuto la conferma dell'ipotesi che gli effetti clinici dell'omeopatia, a differenza di quelli della medicina convenzionale, sono generici effetti placebo o di contesto».

Eppure il mercato è più che considerevole: qual è il motivo?

«Non tanto quanto si crede. Molte cifre non sono veritiere. Si dice che 11 milioni di italiani utilizzino prodotti omeopatici, ma non può essere vero, dato che la stima del fatturato del mercato non supera i 400 milioni. Sono forse 11 milioni quelli che hanno provato almeno una volta un trattamento alternativo, ma ciò non vuol dire che siano tutti regolarmente o saltuariamente curati in quel modo. Secondo l'Istat, i numeri sono diversi e in diminuzione: nel 2013 solo 4,9 milioni di italiani, l'8,2% della popolazione, si sono rivolti alle medicine non convenzionali».

La vendita di questi prodotti è almeno giustificabile per l'effetto placebo?

«Anche una parte dell'effetto dei farmaci convenzionali è di tipo placebo. In ogni caso non è giustificabile la macchina che sostiene questo mercato, piccolo o grande che sia, e medici e farmacisti sono responsabili. Prescrivere rimedi omeopatici per una malattia, quando esistono prodotti efficaci, è una sottrazione di terapia e rappresenta una grave omissione nei confronti del paziente che attende una cura. Pur se indiretti, non sono pochi i danni e la mortalità dovuti alla somministrazione di prodotti omeopatici. L'omissione vale anche per un farmacista, cioè una persona laureata con conoscenze di chimica: non può non sapere di vendere acqua fresca».

Il nodo quindi non è solo scientifico ma anche deontologico...

«Certo: è ovvio che chi è laureato e possiede un'abilitazione a svolgere una professione la deve svolgere in consapevolezza e coscienza. Fare informazione corretta da parte dei professionisti della salute è un dovere etico».

Se l'omeopatia è inconsistente, prescriverla non costituirebbe circonvenzione di una persona incapace, intesa come persona non scientificamente informata e quindi incapace di distinguere? Ritiene che su questo lo Stato debba legiferare?

«Probabilmente lo Stato ha un interesse indiretto, in termini economici, dalle tasse che riceve sul business. Certo, l'UE si è posta la questione di normare il mercato dell'omeopatia, ma il punto è che le sue agenzie non dovrebbero nemmeno prendere in considerazione questo tipo di preparati. Non ha senso che le autorità regolatorie si occupino di prodotti che non contengono nulla e che spendano tempo e danaro per occuparsi del nulla».

Come fare perché le autorità vigilino su ciò che è lecito?

«Si deve esercitare il diritto in base alla verità dei fatti. Tuttavia non avviene ancora correttamente. Sembra sconcertante, ma, per esempio, nel 2009, la Regione Toscana ha aperto all'ospedale di Pitigliano il primo centro pubblico a livello nazionale dove le cure compie- mentari - vale a dire omeopatia, fitoterapia, agopuntura e altro - sono "passate" dallo gare denaro anche per maghi sull`omeopatia è in realtà una Stato. Allora perché non erogare guaritori? Ecco perché quella "discussione infinita"».

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Testo riprodotto unicamente a scopo informativo.

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