I genitori lo avevano chiamato Nero perché aveva la pelle molto scura, viveva in un villaggio africano e non era per niente contento di tale situazione. Avrebbe voluto essere, che so?, verde, azzurro, magari bianco o tutto colorato. È il nonno a suggerirgli di cercare l'Albero della vita, soltanto lui, con la sua saggezza, avrebbe trovato, forse, una risposta convincente. Così Nero si mette in cammino e, come accade in molte storie del genere, si uniscono a lui altri animali, insoddisfatti della propria condizione: lo struzzo, la giraffa dal collo troppo lungo, la femmina del pavone che ha i colori troppo spenti, un pesce cieco che vive in una grotta, l'ape stufa di fare sempre stanzette a sei lati, la balena che preferirebbe vivere sulla terraferma. Giungeranno infine alla meta e l'albero darà a ognuno una giustificazione non mitica, ma scientifica, etologica. (Arrivò il turno della femmina di pavone. «Perché le mie piume hanno colori spenti?» «Perché così nessuno riesce a distinguerle nel bosco e tu puoi covare le tue uova senza essere vista»). Comprendiamo allora come, in virtù di una delicata misura fiabesca, l'albero miri a spiegare in modo semplice e pacato la teoria darwiniana sull'origine della specie. E, giustamente, le quattro pagine finali sono proprio dedicate a questo tema. "Tanto tempo fa, tutti gli esseri avevano un'unica forma. Poi, come dal tronco di un albero spuntano dei rami, anche i nsotri corpi si sono separati, con forme diverse. Ciascuno di voi è nato dove sono germogliate e appassite tante vite. Ora voi siete come queste foglie verdi all'estremità dei rami. Non c'è più nulla di bello di voi». Non certo eccezionali, ma pulite, gradevoli e di bella efficacia le illustrazioni. |